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martedì 31 maggio 2011

ARCHEOLOGIA SARDA: SERRI SANTUARIO NURAGICO FEDERALE DI SANTA VITTORIA

Il santuario federale di Santa Vittoria è situato nella parte sud occidentale della Giara di Serri.
Dopo l'epoca nuragica fu riutilizzata come testimonia la chiesa intitolata a  S. Vittoria
ESTREMITÀ ORIENTALE DEL SANTUARIO

Capanna della mensa”

La prima capanna che troviamo è così denominata perché a destra rispetto alla porta d’ingresso era sistemata una lastra che fungeva da mensa – altare per scopi rituali.

“Capanna con nicchia”

Capanna di pianta circolare che mostra all’interno una grande nicchia rettangolare aperta al centro della parete orientale.

“Capanna con due vani”

All’interno, nel tramezzo divisorio,  è presente un’apertura che mette in comunicazione le due camere.

“Capanna absidata”
 
Capanna di pianta vagamente rettangolare che al suo interno non presenta nicchie e stipetti, ma conserva ancora parte del selciato originale

“Abitazione con atrio”

Presenta due ambienti di differente forma:
 ellitico quello meridionale con ingresso leggermente rientrato



-  












rettangolare quello occidentale


“Capanna della rotonda”

Sono presenti 5 ambienti:
il vano principale,  una piccola rotonda,  una cameretta ricavata tra i primi due vani,  un ambiente rettangolare e uno quadrangolare.

 














Tra le varie ipotesi circa l’originaria destinazione, la più plausibile pare sia quella della funzione abitativa.


“Capanna del monolite”


Di pianta vagamente circolare, nella parete settentrionale è presente una nicchia. Nel pavimento sono presenti delle lastrine in pietra vulcanica che disegnano una figura a goccia, al centro della quale era probabilmente infisso il monolite; questo particolare fa ritenere che il luogo fosse riservato al culto.

“Sala delle assemblee federali”
   


Edificio a pianta circolare con un sedile a ridosso dei muri perimetrali. Al suo interno sono presenti diversi arredi liturgici: quattro nicchie, una vaschetta, un betilo troncoconico su basamento quadrangolare e un bacile

LATO OCCIDENTALE DEL SANTUARIO
Riprendendo il sentiero principale ad un certo punto ci si trova davanti a tre strade, andando dritti si arriva al recinto delle feste, girando a sinistra al pozzo sacro, mentre a destra si arriva al tempio in antis.

TEMPIO IN ANTIS









POZZO SACRO
RECINTO DELLE FESTE











La Zona posta al lato sinistro del sentiero principale
           
“LA CAPANNA DELL’INGRESSO”


Attigua all’ingresso principale, era probabilmente la capanna del custode. La pianta è circolare e la porta strombata è rivolta ad ovest sull’area sacra
IL TEMPIO A POZZO (orientato N-E/S-O)

 
Racchiuso da un recinto ellittico e realizzato con accuratissimi filari di blocchi di basalto

L’atrio, quadrato con il pavimento lastricato, presenta un bancone-sedile ed un altare rettangolare con cavità e foro di scarico per il deflusso dei liquidi
La scala 

con 13 gradini e copertura gradonata, conduce al pozzo

Il pozzo 

cilindrico che aveva in origine una copertura a tholos


“LA CAPANNA CON SEDILE”


Edificio circolare molto ampio dotato di sedile e costruito con molta cura. Sicuramente fu utilizzato per le adunanze rituali.


“IL BACINO CERIMONIALE”


In origine fu forse utilizzato per le immersioni rituali raccogliendo l’acqua in esubero del Tempio a pozzo tramite una canaletta. Fu sicuramente abbandonato già in epoca nuragica per poi subire la quasi totale distruzione con i romani e i bizantini. La pianta è rettangolare e presenta tre banconi per le offerte e due grandi mense per i sacrifici. Il piccolo ambiente adiacente al vano principale venne forse utilizzato nell’ultima fase del nuragico  come deposito per gli ex voto.

“LA CAPANNA CON ATRIO”


Capanna circolare adiacente al Bacino cerimoniale. Probabilmente, sull’atrio rettangolare antistante l’ingresso era impostato un tetto a doppio spiovente 

“LA TORRE CON FERITOIE” e “IL PROTONURAGHE”


La torre faceva parte di un nuraghe polilobato che sostituì il Protonuraghe che nel Bronzo Finale fu in parte demolito per lasciare spazio ai nuovi ambienti del Santuario.


Dalla torre si diparte un corridoio fortificato che arriva fino al Protonuraghe.

“LA CHIESETTA DI S. VITTORIA”


La chiesetta fu intitolata alla santa dai monaci vittorini, ma il primo impianto dell’edificio risale al V-VI sec. d.C.


Conserva una navata ma si possono individuare i resti di quattro archi della navata destra che la collegano a quella centrale.
           
LA Zona posta al lato destro del sentiero principale

 
“TEMPIO IN ANTIS”


Struttura sacra con atrio rettangolare lastricato con sedili racchiuso tra due muri rettilinei sui quali si impostava un tetto a due spioventi. Si accede alla camera circolare attraverso una porta strombata verso l’interno. Lungo le pareti si aprono cinque nicchie con finestrella di scarico
           
EDIFICI DEL RECINTO DELLE FESTE

 “RECINTO CON CAPANNA”


Addossato al Recinto delle Feste in corrispondenza della Capanna con sedile gradonato, presenta un recinto più o meno circolare con all’interno una piccola capanna tondeggiante. Ancora non è chiarita la sua funzione.
           
          
“CAPANNA DEGLI ALTARINI”


Ampia capanna a pianta circolare al centro della quale fu rinvenuto un focolare in pietra, mentre nei due lati dell’accesso erano presenti due sedili nelle cui vicinanze erano sitemati due altarini in calcare, uno cilindrico e l’altro parallelepipedo

“IL PORTICO”


Destinato probabilmente ad ospitare i pellegrini, originariamente si presentava come un lungo loggiato addossato al muro occidentale del Recinto delle feste. Era coperto da un tetto spiovente inclinato verso il piazzale centrale; tra i pilastri è sistemato uno zoccolo in pietra atto ad impedire la penetrazione dell’acqua piovana. Lungo il muro è presente un sedile continuo

“CELLETTE CON SEDILE”


Questi nove piccoli vani di pianta rettangolare addossati al muro nord-orientale del recinto, forse destinati all’esposizione delle mercanzie da vendere, sono provvisti di ingresso aperto verso il piazzale centrale. Le cellette sono separate da piccoli tramezzi rettilinei; alcune conservano ancora un sedile ad U, è inoltre ancora presente una lastra sistemata orizzontalmente che sicuramente fungeva o da piano d’appoggio, o da mensa.

“CAPANNA DELL’ASCIA BIPENNE”


Capanna di pianta circolare con all’interno un sedile a giro formato da conci in pietra vulcanica. Vicino alla parete occidentale fu rinvenuto un altare quadrangolare sormontato da una calotta emisferica ed un pilastrino infisso su una base dentellata dove era inserita un ascia bipenne in bronzo che veniva collocata sull’altare quale oggetto di culto.
In onore di tale divinità  venivano sicuramente effettuati sacrifici rituali, come testimonino i cumuli di ceneri e i resti combusti di ossa di animali.

LE TRE CAPANNE DEL MARGINE ORIENTALE DEL RECINTO:
I tre edifici in origine erano caratterizzati da una copertura lignea foderata da lastrine calcaree.



La prima capanna è la più ampia e si compone di un sedile a giro provvisto di zoccolo per la posa dei piedi.


La seconda capanna è rettangolare e presenta nella parete di fondo una grande nicchia.



La terza capanna è una celletta sub-rettangolare e forse fungeva da guardiola.


Fabrizio e Giovanna

Le notizie sono tratte da A. Taramelli, G. Lilliu, E. Contu e A. Saba.

PIRAMIDE DI CHEOPE - ESPLORATORE ROBOT RIVELA GEROGLIFICI NASCOSTI

Scritti con vernice rossa, i simboli possono aiutare gli egittologi a capire il motivo della costruzione dei misteriosi pozzi nelle piramidi.




 

Un robot è stato inviato attraverso la Grande Piramide di Giza (Altezza 145,75 m, lato Nord,  230,25 m, lato Ovest 230,35 m, lato Est 230,39 m, lato Sud 230,45 m, con un

margine di errore pari allo 0.1%, gli angoli sono quasi esattamente di 90°, a  Sud-Est  89°56’, a Nord-Est  90°3’, a Sud-Ovest 90° e a Nord-Ovest  89°59’) e ha trasmesso immagini che mostrano dei geroglifici dietro una porta misteriosa.

Gli archeologi sperano che i simboli possano aiutarli a comprendere lo scopo dei pozzi costruiti all'interno delle piramidi.

Da diverso tempo gli studiosi ritengono che nella   Grande Piramide esistano passaggi dei  passaggi nascosti che portano  a delle camere segrete.

Un robot esploratore inviato attraverso la Grande Piramide di Giza ha cominciato a svelare alcuni dei segreti celati dietro il mausoleo  antico di 4.500 anni ed ha  trasmesso le prime immagini nascoste dietro una delle sue porte misteriose.

Le immagini hanno rivelato geroglifici in vernice rossa che non sono stati mai visti dopo la costruzione della piramide. Le immagini inoltre svelano nuovi dettagli su due perni di rame incorporati in una delle cosiddette "porte segrete".

Costruita probabilmente  per il faraone Cheope, la Grande Piramide è l’unica delle sette meraviglie del mondo antico oggi esistente ed è la  più grande delle tre piramidi dell’altopiano di Giza, alla periferia del Cairo.

Gli archeologi hanno a lungo discusso  circa lo scopo dei quattro stretti cunicoli  all’interno  della piramide, da quando sono stati scoperti nel 1872.

Due cunicoli, si estendono dalla parte superiore, o " Camera del re" ed escono all'aria aperta altri due, che partono dal lato sud e dal lato nord della “Camera della Regina”,si perdono  all'interno delle strutture.

Per lungo tempo si è creduto  che fossero dei  passaggi rituali per l'anima del faraone e rimasero inesplorati fino al 1993, quando l'ingegnere tedesco Rudolf Gantenbrink inviò un robot attraverso il cunicolo situato a sud.

Dopo una salita costante di 213 metri dal cuore della piramide, il robot si fermò davanti a una lastra di calcare misterioso ornata da due perni di rame.

Nove anni più tardi, Hawass esplorò il condotto meridionale in diretta televisiva. Mentre il mondo tratteneva il respiro, un robot dotato di una telecamera attraversò un foro praticato nella porta  solo per rivelare ciò che sembrava essere un'altra porta.

Il giorno seguente, Hawass inviò il robot attraverso il cunicolo situato a nord.

Dopo 213 piedi attraverso alcune curve, il robot si fermò bruscamente davanti ad un'altra lastra di pietra calcarea.

Come per la porta trovata da Gantenbrink anche in questa la pietra è stata adornata con due perni di rame.

Il ministro di Stato per gli Affari Antichità in Egitto, Zahi Hawass, ha dichiarato a Discovery News in una recente intervista di aver dedicato tutta la vita a studiare i segreti della Grande Piramide e che il suo obiettivo è quello di scoprire ciò che si cela dietro le porte segrete.

Nel tentativo di risolvere il mistero, Hawass ha istituito il progetto Djedi, una missione congiunta internazionale-egiziano, che  prende il nome dal mago che Khufu (Cheope) consultò quando decise di progettare la grande piramide.

Il progetto è iniziato con l'esplorazione del condotto meridionale, che termina nella cosiddetta "porta Gantenbrink's".

Il robot è stato in grado di scalare le mura del pozzo trasportando una  fotocamera telescopica in grado di vedere dietro gli angoli.

A differenza di precedenti spedizioni, sono state adottate telecamere in grado di vedere solo ciò che si trova davanti, la fotocamera bendy era abbastanza piccola da entrare attraverso un piccolo foro in una pietra, dando ai ricercatori una visione chiara della camera. E 'stato in quel momento che la telecamera ha messo a fuoco i segni di 4.500 anni fa che però risultano di difficile interpretazione, in primo luogo Richardson si chiede per quale motivo siano stati realizzati proprio in quel determinato punto.

I ricercatori hanno inoltre potuto esaminare i due perni di rame incorporati nella porta della camera che non avevano ancora visto nella parte anteriore.

Richardson  afferma che La parte posteriore dei perni curva su se stessa chiedendosi quale fosse la loro funzione visto che sembrano troppo piccoli per avere uno scopo meccanico.

Le nuove informazioni escludono  l'ipotesi che i perni possano essere stati manici di rame e ipotizzano uno scopo ornamentale, ipotesi avvallata dal fatto che sul retro la porta è lucida indicando la sua importanza: è troppo rifinita per essere una semplice pietra di chiusura.

Il robot Djedi dovrebbe rivelare molto di più nei prossimi mesi.

Il dispositivo è dotato di una serie straordinaria di strumenti che includono un robot in miniatura "maggiolino" che può passare attraverso un foro di 19 mm di diametro, un trapano da carotaggio e un dispositivo a ultrasuoni che rende possibile capire lo spessore delle pareti in pietra.

Il passo successivo sarà un'indagine nella parete di fondo della camera per verificare se si tratta di un'altra porta, come suggerito dall’esplorazione dal vivo del 2002 o se si tratta di un solido blocco di pietra.

La squadra si è impegnata a completare il lavoro entro la fine del 2011. Un rapporto dettagliato sui risultati dovrebbe essere pubblicato all'inizio del 2012.





Fabrizio e Giovanna

lunedì 30 maggio 2011

I TEMPLARI: MONACI E GUERRIERI I parte



BREVE INTRODUZIONE SULL’ORGANIZZAZIONE MILITARE



Nel 1129, a circa dieci anni dalla loro fondazione, le unità combattenti templari erano ancora poche decine e la prima esperienza di combattimento fu sostenuta contro l’atabeg di Damasco Tai Mulk-Buri quale rappresaglia per le razzie e i saccheggi che attuarono per conto di Guglielmo di Bures. Tale battesimo delle armi, che vide i Templari uscirne piuttosto malconci e disonorati per non aver rispettato sia gli ordini del re che i loro principi, insegnò loro che l’indisciplina e la disobbedienza erano un facile strumento di vittoria per il nemico.

Lo schieramento franco in Terrasanta, fatta eccezione per le truppe reali, era più simile ad un’orda disorganizzata che ad un vero e proprio esercito, quindi la presenza degli Ordini militari (Templari, Ospitalieri e più tardi Teutonici) rappresentò un’innovazione nella maggior parte dei casi fondamentale per il buon esito delle battaglie.

I Templari erano superiori al resto dell’esercito crociato per la disciplina e l’esperienza, che li distingueva a tal punto da farli divenire l’ossatura degli eserciti cristiani in Terrasanta.



La disciplina era ferrea, il Cavaliere Templare non era un combattente singolo, ma un combattente di massa, i vari reparti erano inquadrati e rispondevano ad una precisa strategia di battaglia. Erano previste pene severissime per chi usciva dai ranghi, per chi non obbediva all’ordine della carica, per chi abbandonava il gonfalone e per chi usciva senza permesso dal campo di battaglia.  Questa  caratteristica faceva si che i loro stendardi bianchi e neri fossero un sicuro punto di riferimento per intere formazioni di combattenti disorientate nella confusione della battaglia.
L’esperienza maturata dall’Ordine distingueva nettamente i Templari dal resto dei Crociati, in questo contesto essi riuscirono infatti ad apprendere le tecniche di combattimento dei musulmani, riuscendo ad adattarsi ad un tipo di guerra molto diverso da quello che si praticava in Europa.
In Europa gli eserciti erano soliti combattere in campo aperto con schieramenti contrapposti bene allineati, in Oriente invece la cavalleria araba Fatimida attaccava il nemico con rapide incursioni di arcieri in sella ai loro veloci cavalli. È quindi facilmente intuibile l’importanza rivestita da reparti veloci di cavalleria in grado di spostarsi rapidamente e caricare prontamente il nemico. Questo nuovo modo di combattere fu sperimentato per la prima volta nel 1147 durante uno spostamento da Costantinopoli ad Antiochia, da un contingente di Templari agli ordini di Everardo di Barres inquadrato negli eserciti di Luigi VII. In questo episodio i 170 cavalieri dell’Ordine del Tempio contribuirono in maniera determinante a salvare l’esercito cristiano messo in crisi da una errata manovra di Goffredo di Roncone che fece scomporre le truppe in tre tronconi.

L’esperienza e la disciplina dei Templari si dimostrò l’arma vincente in una situazione divenuta ormai disperata.


Fabrizio e Giovanna.







L'ALTRO ULISSE

Presentiamo l'intervista del nostro nuovo amico  Alberto Majrani, invitiamo i blogger ad intervenire in merito alle sue suggestive argomentazioni.


Una sorprendente soluzione dei misteri dell’Odissea

intervista con Alberto Majrani
di Osvaldo CARIGI
pubblicata sul n° 6 di FENIX - aprile 2009

Forse ben poche opere del passato hanno avuto, al pari dell’Iliade e dell’Odissea , l’”onore” di essere, fin dalla loro prima apparizione, oggetto di un’accesa 'scansione' critica che ha percorso i secoli generando una notevole saggistica circa il luogo di origine di Omero, l’attribuzione allo stesso di entrambi i poemi e il reale contesto geografico in cui inquadrare i fatti narrati nei due epos. Negli ultimi tempi, la questione omerica si è arricchita di nuove interessanti ipotesi alternative e quindi foriere, manco a dirlo, di ulteriori discussioni sulla loro validità; in tale contesto, un libro che ha attirato l’attenzione degli appassionati della cosiddetta archeologia ‘eretica’, nonchè gli immancabili strali degli accademici, è “Ulisse, Nessuno, Filottete” di Alberto Majrani. Lo studioso milanese, analizzando attentamente i versi dell’Odissea, è giunto alla conclusione che il vero protagonista dell’Odissea non sarebbe il famoso re di Itaca, ma un altro forse meno reclamizzato partecipante alla guerra di Troia: l’impareggiabile arciere tessalo Filottete (www.filottete.it ).


 
                   Filottete



Sicuramente non deve essere stata un’impresa facile, quella del Majrani, di inquadrare il poema in un’ottica interpretativa così sorprendentemente diversa da quella classica, e questo anche a fronte del suo bagaglio professionale, alquanto atipico per l’argomento in questione.

Alberto MAJRANI:” In effetti il mio curriculum è abbastanza  anomalo: sono laureato in scienze naturali e ho sempre svolto un lavoro di fotografo e giornalista scientifico e turistico. Apparentemente è quanto di più lontano ci possa essere dalla mitologia classica!”
Osvaldo CARIGI:” Alberto, quale è stata ‘l’anomalia di fondo’ dei poemi omerici che ti ha portato a iniziare questo lavoro di ricerca assolutamente fuori da ogni contesto di esegesi rigorosamente tradizionalista dei predetti?”
A.M.: “Nel corso dei miei viaggi e dei miei studi mi sono reso conto di quanto fosse complicato far concordare i dati storici e archeologici con tutto il ricchissimo materiale dei racconti mitologici. Eppure, alcuni miti prendono chiaramente spunto da storie vere o da fenomeni naturali: gli antichi vedevano i vulcani e i terremoti e pensavano che ci fosse una divinità sotterranea come il fabbro Efesto che lavorava nella sua fucina, sentivano il vento e pensavano che Eolo soffiasse, e così via. Parliamo, quindi, di avvenimenti reali magari ingigantiti ma sempre con un fondo di verità. Invece, con i poemi omerici ci troviamo in una strana situazione di cortocircuito: migliaia di pagine con una miriade di personaggi e di luoghi descritti accuratamente, ma che non sembrano corrispondere in niente con gli eventi reali e i reperti archeologici del Mediterraneo, se non a costo di continui salti mortali interpretativi, o di vere e proprie forzature. Possibile che non ci fosse un'interpretazione più semplice, e al tempo stesso più efficace? Qualcosa tipo le tre leggi di Keplero, che ora sui libri di scuola stanno in una paginetta, ma che riuscirono finalmente a spiegare i movimenti degli astri nel cielo, un problema che aveva fatto impazzire i migliori sapienti di tutti i tempi?”
O.C.:”E questa tanto agognata interpretazione più semplice, sembra che tu l’abbia trovata decodificando i tanti criptici messaggi di cui sarebbe costellata l’Odissea e dietro i quali si celerebbe una verità davvero sorprendente.
A.M.: “Sì, sembra incredibile, ma basta semplicemente cambiare un presupposto (e che presupposto!) per fare quadrare tutto. Eppure, una volta che si accetta questo cambio di prospettiva, ci si accorge che i messaggi che ci manda continuamente Omero sono tutt'altro che criptici, ma diventano del tutto logici ed evidenti. E' logico pensare che, se uno è partito per la guerra e non è ancora tornato dopo vent'anni, ciò significa che è morto; e in effetti l'idea che Ulisse sia ormai defunto viene ripetuta per almeno una cinquantina di volte. Mentre i pochi che affermano che "forse" Ulisse è ancora vivo, vengono subito smentiti dopo pochi versi; e costoro sono proprio quelli che hanno interesse a far sì che il vero Re di Itaca ritorni a sistemare le cose, come il figlio Telemaco o i servitori più fedeli, che saranno ricompensati ampiamente, con una bella moglie, una casa e un podere. Anche gli Dèi dicono che Ulisse è vivo, ma agli Dei si possono attribuire tante affermazioni, visto che raramente si preoccupano di smentire...”
O.C: “La chiave di volta delle tue ricerche sembra essere stata un’attenta e alternativa analisi del “numero da circo” proposto da Telemaco ai Proci per decidere chi di questi sarebbe andato in sposo a Penelope e, di conseguenza, diventare re di Itaca. Tutti noi sappiamo che la prova consisteva nel cercare di attraversare con una freccia gli anelli di dodici scuri allineate. Sappiamo, altresì, che il vincitore fu Ulisse, ma, come si legge nel tuo libro, “In tutta l’Iliade Ulisse non usa mai l’arco, neanche durante i giochi in onore di Patroclo” quindi, come suol dirsi, i conti non tornavano… Solo un guerriero dotato di grande valentia nell’uso dell’arco poteva portare positivamente a termine l’impresa prospettata dal figlio di Ulisse. Ecco allora che ti sei ricordato del più abile degli arcieri achei…..
A.M.:Eh già, infatti quelle poche volte che Ulisse prende in mano un arco, poi non lo usa, salvo affermare che  solo Filottete era più bravo di lui! Proprio Ulisse ci dà la giusta "dritta", e come nei migliori gialli, bastano pochi indizi per trovare la soluzione dell'enigma. Nei due poemi ci sono ben poche  informazioni su Filottete, ma più che sufficienti: era il migliore degli arcieri achei e doveva essere zoppo a causa di una grave ferita a un piede. E poi ci si accorge che anche quello strano Ulisse giunto a Itaca zoppica, perché cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone, viene continuamente paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, fino al famoso riconoscimento da parte della nutrice che scopre la profonda cicatrice sul ginocchio, mentre gli lava i piedi. Quindi il problema doveva essere nel piede, e non nel ginocchio! Tanto che il vero Ulisse aveva delle cosce perfette e si vantava di essere un eccellente corridore; tutte queste incongruenze si risolvono automaticamente nel momento in cui ci si rende conto dello scambio di persone: non era lui, ma quell'altro, e tutto si spiega! Strano, vero?
O.C.:”Sempre focalizzando l’attenzione sulla vicenda finale dell’Odissea, la tua ‘rivisitazione’ della stessa può sembrare, a prima vista, davvero sorprendente. In sintesi tu asserisci che Telemaco, oramai convinto che suo padre sia morto, escogita un piano diabolico che prevede il succitato “numero da circo” come preambolo ad un successivo massacro degli ignari Proci. E proprio uno di questi, Leocrito, sembra darci la motivazione di quella che tu definisci “una strage di Stato”:“Se l’Itacese Odisseo, sopraggiungendo in persona, i pretendenti alteri in casa sua banchettanti macchinasse nel cuore di cacciar dalla sala, non proverebbe gran gioia la donna, che tanto lo sogna, del suo ritorno, ma qui forse avrebbe morte ingloriosa, volendo lottare con molti”. (Odissea, libro II, 246-51).
A.M.:Siamo nella tarda età del bronzo e le regole di discendenza non sono ancora codificate, e d'altra parte Telemaco non può compiere un "golpe" sanguinoso senza alcuna giustificazione. Ma se il vero Re torna, compie la sua vendetta e poi si autoesilia lasciandogli sgombro il campo, tutto diventa più facile. Molti credono di conoscere l'Odissea perché hanno ben scolpite nella mente le fantastiche avventure di Ulisse, che occupano la parte centrale del poema, ma le parti più interessanti e realistiche si trovano all'inizio, con il viaggio di Telemaco alla ricerca di alleati per sconfiggere i Proci, e alla fine, con l'arrivo simultaneo di tutti i congiurati.

            strage dei Proci



O.C.:” Filottete, ingaggiato da Telemaco, sbarca a Itaca e si presenta a corte sotto le mentite spoglie di un redivivo Ulisse e nessuno dei Proci presenti, poco più che ventenni, sembra accorgersi di questa ‘sostituzione’ o, quanto meno, non riesce a dipanare qualche dubbio sull’identità dello ‘straniero’. Ad esempio Antinoo afferma che “Non c’è nessuno fra tutti costoro, che sia uomo tale qual era Odisseo; io l’ho veduto, e lo ricordo; certo allora ero un bambino” (Odissea, libro XXI, 93-95). Anche Eurimaco ricorda di, come fanciullo, veniva tenuto sulle ginocchia da Ulisse e ora, nel supplicarlo di non ucciderlo, premette che “Se proprio sei l’Itacese Odisseo che ritorna….”(Od., libro XXII, 45). Sono passati molti anni dalla partenza di Ulisse e, come abbiamo visto, i Proci, allora, erano dei bambini e, quindi, hanno un vago ricordo del loro sovrano, anche in considerazione del riuscito travestimento da vecchio malconcio, escogitato da Filottete/Ulisse per tenere nascosta la propria identità fino al momento della prova con l’arco. Vi è però un episodio che può dare adito a qualche rilievo circa la validità della tua teoria incentrata sull’effettivo mancato riconoscimento del ‘falso’ Odisseo: l’incontro di questi con il suo vecchio fedele cane Argo, che, seppur semi morente, riconosce subito il padrone” 

A.M.:In effetti, questa è la prima obiezione che mi viene sempre fatta quando comincio a esporre la mia teoria. L'episodio del riconoscimento da parte del vecchio cane fedele è certamente uno dei momenti più commoventi dell’intero poema, in cui Omero riesce con pochi versi a descrivere una scena di grande intensità emotiva. Ma se continuiamo a cercare di osservare l’episodio con la necessaria freddezza, ci rendiamo conto che anche qui la nostra analisi mantiene la sua validità: neanche il cane potrà "testimoniare" di aver visto Ulisse, dato che muore subito! E così succederà che moriranno anche tutti quelli che non riconoscono il Re ritornato, come tutti i Proci, alcuni loro parenti, e persino una dozzina di ancelle, impiccate poco democraticamente dallo stesso Telemaco. Altri eventuali testimoni si trovano in luoghi lontanissimi e inaccessibili. 
O.C.“Nel contesto della tua rivisitazione dell’Odissea c’è ovviamente posto anche per Omero, la cui “storicità”, come già ricordato nella prefazione, è da sempre al centro di contrapposte ipotesi interpretative.





Busto di Omero; Museo Capitolino


In tale contesto, mi ha particolarmente incuriosito un particolare nella descrizione, contenuta nel libro, dell’arrivo di Omero ad Itaca e del suo susseguente incontro con il figlio di Odisseo:“Telemaco ascolta la storia dell’Iliade”, significando una tua collocazione temporale nella stesura del poema più o meno coeva a quella della guerra di Troia e acclarando, nel contempo, le origini troiane dell’aedo cieco poiché“conosce troppe cose accadute entro le mura della città assediata”.”
A.M.Omero è il geniale poeta di corte, che inventa una serie di favolose avventure per giustificare la lunga assenza dell'eroe.

Ulisse e le Sirene, urna etrusca dal Museo Guarnacci di Volterra


Ma, essendo amante degli enigmi e dei giochi di parole, inserisce tutta una serie di indizi, che io ho chiamato "messaggi in bottiglia", per fare capire come sono andate realmente le cose. E anche lui, o meglio, la sua "proiezione" a Itaca, il cantore Femio, implora Ulisse di risparmiargli la vita, promettendogli di ricompensarlo con la sua arte. Una cosa che stranamente mi è sfuggita scrivendo il libro, e che mi fa piacere rivelare ora ai vostri lettori. Un altro sopravvissuto, Medonte, non è solo l'araldo di Itaca, ma ha anche lo stesso nome del "vice" di Filottete all'epoca della spedizione a Troia. Quindi anche questo  può essere un'altro dei tanti "messaggi in bottiglia" lanciati da Omero, e può dare un'idea di quante altre interpretazioni inedite possono nascere dalla mia teoria. I cantori descritti nell'Odissea, come Femio e Demodoco, raccontano gli episodi della guerra di Troia, conclusasi da alcuni anni. Quanto a Omero, il suo nome può significare "ostaggio", ed è evidente che descrive i Troiani in modo molto più positivo rispetto ai rozzi Achei; si può ragionevolmente pensare che fosse una specie di cantastorie girovago, come ce ne sono stati fin dalla notte dei tempi, vissuto dapprima presso i Troiani e poi con gli Achei. Questo spiegherebbe anche sia le somiglianze che le diversità stilistiche dei due poemi. Salta anche uno dei molti luoghi comuni offensivi su Omero: non è affatto vero che Omero dormisse, le sue apparenti contraddizioni  sono il frutto del raffinato gioco di enigmi e incastri creato ad arte dal poeta, e si risolvono in un sol colpo con la mia interpretazione. E quindi si può pensare che l'Odissea non sia un minestrone di miti cucinati assieme in qualche modo, ma sia un lavoro di un unico autore, con una sua logica e coerenza.

O.C.:”Come abbiamo visto, tu affermi che il visitatore misterioso che sbarca a Itaca e compie la strage non è Ulisse ma Filottete. Orbene, nell’Odissea vi è un personaggio portato da Telemaco nell’isola: il fuggitivo Teoclimeno, che, secondo la tua tesi, è in realtà lo stesso Filottete, frutto dell’ennesima ‘proiezione’ di identità escogitata da Omero nel suo poema.”
A.M.:Questo strano Teoclimeno viene introdotto con grande enfasi e poi sparisce proprio sul più bello; ma sarà un caso che Teoclimeno sembri quasi un anagramma (a parte una emme al posto di una effe) del nome Filottete? Io ho intitolato il mio libro "Ulisse, Nessuno, Filottete" anche per riecheggiare il pirandelliano "Uno, nessuno e centomila". Non a caso lo stesso Ulisse viene definito "multiforme" proprio perché si incarna in diversi personaggi. Omero amava i giochi di parole: il più noto è quello con cui  Odysseus, Ulisse, inganna il ciclope Polifemo, dicendo di chiamarsi Outis, cioè Nessuno: l'assonanza tra Outis e Odysseus purtroppo si perde nella traduzione.  Polifemo ripete che Nessuno lo acceca, Nessuno lo uccide. Questo concetto ritorna continuamente nel poema: nessuno è mai tornato vivo dall'oltretomba, nessuno ha mai oltrepassato gli scogli delle sirene, nessuno mai sbarca nella terra dei Feaci, e così via. E nessuno, finora, lo aveva preso alla lettera!
O.C.:”Secondo gli studi di due astronomi, Marcelo Magnasco della Rockfeller University di N:Y e Costantino Baikouzis dell’osservatorio argentino di La Plata, Omero avrebbe descritto, ovviamente in forma poetica, un’eclissi solare realmente accaduta il 16 aprile 1178 a.C., data del massacro compiuto da Ulisse. Nel libro XX dell’Odissea (355-357) Teoclimeno così conclude la sua arringa contro i Proci presenti nella sala reale: “d’ombre è pieno il portico, pieno il cortile che scendono all’Erebo, sotto la tenebra; il sole del cielo s’è spento, fatale è scesa una notte di morte” (355-357). In base alla tua teoria secondo la quale Teoclimano è lo stesso Omero, si potrebbe affermare che questi avrebbe assistito al fenomeno ottico.”
A.M.:Io invece ho ipotizzato che fosse il giorno del solstizio d'estate, una data molto importante presso gli antichi, dato che si afferma che era la festa di Apollo arciere, e Apollo era il dio della luce. Del resto, in un'epoca in cui ben pochi possiedono un calendario, dei congiurati possono darsi appuntamento solo in un giorno preciso, ben noto a tutti. Se davvero ci fosse stata un'eclisse, penso che Omero ci avrebbe ricamato sopra molto di più. E poi io contesto anche la tradizionale collocazione geografica e temporale degli eventi, quindi tutti i calcoli andrebbero rifatti!
O.C.:”Contestazione da te ampiamente argomentata nell’appendice del libro e che si potrebbe riassumere nell’assunto che i due poemi omerici non furono altro che la trasposizione in area mediterranea di avvenimenti realmente accaduti nel nord Europa.”
A.M.:Nel 1870, un archeologo dilettante, Heinrich Schliemann, si vantò di aver scoperto le rovine dell'antica Troia in Turchia. In realtà, molti archeologi seri dubitano di poter identificare quel sito con la città omerica, perché non si riesce a trovare ciò che si cerca, mentre si trova ciò che non dovrebbe esserci! Circa una quindicina di anni fa sono usciti quasi contemporaneamente due saggi: uno, del giornalista Iman Wilkens, localizza l'antica città in Inghilterra, e l'altro, dell'ingegnere Felice Vinci, intitolato "Omero nel Baltico", pone i biondi "Danai" in Danimarca, Troia presso la cittadina finlandese di Toija, e individua molte altre località con impressionanti assonanze. La collocazione nordica rende comprensibili le apparenti incongruenze geografiche, come il clima freddo e nebbioso, gli strani fenomeni naturali come il gorgo di Cariddi (un tipico maelstrom), le "isole galleggianti" (degli iceberg!), le puntigliose descrizioni dei luoghi omerici, che però non coincidono con gli omonimi mediterranei, e così via. I nordici guerrieri, una volta scesi a sud con le loro “concave navi”, oppure migrati lungo la "via dell'ambra", avrebbero ribattezzato le località del Mediterraneo con i nomi presenti nelle loro saghe, dando luogo a un'inestricabile guazzabuglio e alla diceria secondo cui "Omero è un poeta e non un geografo". Povero poeta, sempre calunniato da chi non l'ha capito! Quanto alla datazione, si è immaginata una lunga trasmissione orale prima che i poemi venissero trascritti nell'ottavo secolo avanti Cristo, quando finalmente si trovano nell’area greca dei reperti archeologici significativi, dato che il mondo Omerico è più arcaico di quello dell'VIII secolo, ma corrisponde meglio al XII. Ma ciò non è affatto necessario! Il mondo nordico dell'VIII secolo era rimasto più arretrato, quindi i poemi possono essere arrivati in Grecia subito dopo gli eventi. Lassù la scrittura non esisteva ancora, e quindi i poemi sono andati persi; nel sud la scrittura, la pittura e la scultura c’erano già nel XII secolo, ed è assurdo che il più importante conflitto dell'antichità non abbia lasciato traccia per quattro secoli. Concludendo, bisogna far cadere alcuni presupposti sulle vicende di Ulisse e soci: non era lui, non era lì, e non era neanche quella volta! Solo così la questione omerica si risolve: Omero era un genio, peraltro incompreso, i suoi messaggi sono chiarissimi, e gli avvenimenti narrati sono molto realistici. Ora sì che c'è da divertirsi!
LE COLONNE D’ERCOLE
O.C. Una delle tue poche divergenze con Felice Vinci, seppur sempre nell’alveo di una ambientazione ‘nordica’ delle vicende omeriche, riguarda la collocazione delle famose Colonne d’Ercole che il primo fa corrispondere alle odierne Far Oer mentre tu le identifichi con la costa nord dell’Irlanda ed in particolare con una formazione naturale nota come il “Selciato dei Giganti”.

Irlanda: Selciato dei Giganti


Ci puoi dire come sei giunto a stabilire tale localizzazione?

A.M.:Il mito di Ercole presenta molte caratteristiche nordiche, ed era presente nelle isole britanniche già in epoca molto antica. Ciò suggerisce una originale soluzione ad uno dei problemi degli antichi geografi: la collocazione delle famose Colonne d'Ercole, che rappresentavano il limite del mondo conosciuto, e che solo in un secondo tempo furono situate a Gibilterra. Nell'Irlanda del nord, proprio di fronte all'oceano, il "fiume Oceano" che ricorda la Corrente del Golfo, c'è una straordinaria formazione geologica, oggi nota come "Selciato del Gigante", costituita proprio da 40.000 gigantesche colonne di basalto! Quindi lì c'era Ercole, c'era l'Oceano e c'erano pure le colonne! Devo dire che questa idea è piaciuta molto anche al Professor Giulio Giorello, che ha scritto la prefazione del mio libro.
O.C.: Nel libro 'Ulisse' di Paolo Granzotto è scritto: "Un altro che emigrò in Italia fu Filottete, l'uccisore di Paride. Scacciato dai ribelli della sua Melibea si rifugiò in Calabria e lì edificò la città di Crotone. Quando morì venne sepolto insieme al suo infallibile arco sulle sponde del fiume Sibari". Concordi con questa versione?
A.M.:Sì, conosco la leggenda di Filottete in Calabria; ma come ho detto, i navigatori e guerrieri nordici emigravano al sud, quindi anche Filottete poteva far parte di una di queste spedizioni.





Alberto Majrani



Chi ha ucciso realmente i Proci?

ULISSE,NESSUNO,FILOTTETE

Scoperto dopo tremila anni

il protagonista nascosto dell'Odissea



Prefazione di Giulio Giorello

LoGisma Editore www.logisma.it



Intervista originale su