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domenica 23 dicembre 2012

LA BATTAGLIA DELLE TERMOPILI




La battaglia delle Termopili è forse il più famoso degli episodi bellici della storia e delle guerre persiane che videro contrapporsi le Polis greche all'esercito invasore di Serse di Persia.
Le cause della guerra tra greci e persiani  ebbero origine circa 70 anni prima dell’episodio delle Termopili: nel 549 a.C. Ciro il Grande creò l’immenso impero persiano unificando la miriade di tribù che componevano il variegato mondo delle steppe orientali, il suo regno arrivò ad estendersi dall'Indo al Nilo.
Nel 546 a.C. conquistò le colonie greche della Ionia.
Ciro fu un sovrano eccezionalmente  tollerante, le popolazioni assoggettate erano tenute a pagare un tributo al re, ma per tutto il resto avevano la possibilità di mantenere i loro usi, costumi e religione; forse fu questa relativa autonomia che permise la ribellione degli ioni nel 500/499 a.C.
Come abbiamo appena scritto, circa cinquant'anni dopo la conquista di Ciro, sotto il regno del suo successore  Dario, i greci della Ionia si ribellarono al giogo persiano chiedendo e ottenendo l’aiuto della città di Atene.
Grazie all'alleanza della potente città greca gli ioni sterminarono i persiani e distrussero tra le altre la città di sardi ed i suoi templi.
Nell'antichità la distruzione dei templi era considerata una terribile offesa, infatti Dario decise di lavare col sangue l’oltraggio subito dagli ateniesi; si narra infatti che un suo servo avesse il compito di dirgli varie volte nel corso della giornata: “Sire ricordatevi degli ateniesi”.
Nel 490 a.C. una potente flotta persiana si diresse verso l’Attica portando con se migliaia di soldati; gli ateniesi non avevano mai affrontato un esercito così numeroso e ben addestrato, ma nella piana di Maratona gli opliti riuscirono a sconfiggere un nemico che li superava numericamente di almeno tre volte.
Questa cocente sconfitta indusse Dario a non sottovalutare il nemico e lo persuase che la conquista della penisola ellenica necessitava di una seria preparazione, ma non fece in tempo ad attuare il suo progetto, quindi alla sua morte fu suo figlio Serse a portare avanti la vendetta.
Nel 481 a.C. una spia avvertì gli ateniesi dell’imminente invasione e che l’esercito persiano era composto da centinaia di migliaia di guerrieri provenienti da tutte le province dell’impero (Erodoto riferisce trecento miriadi ossia tre milioni, ma è probabile che i persiani fossero circa trecentomila ), fu allora che essi chiesero l’aiuto delle altre Polis e sopratutto di Sparta che all’inizio tergiversò, poi, dopo aver chiesto il consiglio degli Dei al santuario di Delfi, accettarono e mandarono in guerra i famosi 300 opliti.
Di fronte ad un nemico così numeroso ed organizzato le città stato greche decisero di mettere da parte le loro rivalità e costituirono un’alleanza, la Lega Panellenica, alla quale parteciparono quasi tutte le Polis.  
Il numero degli spartani era esiguo sia a causa dell’opposizione da parte del consiglio degli anziani all’invio di un contingente numeroso la cui possibile perdita avrebbe lasciato la città senza difese, sia perchè l’esercito nemico arrivò proprio durante le Feste Carnee durante le quali a nessuno spartiate era consentito combattere.
Il comando delle operazioni militari di terra fu affidato a Leonida, uno dei due re di Sparta, fu appunto lui a recarsi al santuario di Delfi nel quale la Pizia gli diede un tragico vaticinio dicendogli che la sua città sarebbe stata distrutta se non avesse pianto la morte di un suo sovrano discendente di Eracle; Leonida, considerandosi suo discendente, si convinse che fosse necessario il suo sacrificio affinché si avverasse la profezia e  forse fu per questo motivo che si unì all'alleanza con i suoi pochi guerrieri.
Il re lacedemone decise di bloccare l’avanzata dell’invasore alle Termopili, unico passo per la Tessaglia e la Focide largo appena 200 metri, pensava che in uno spazio angusto il numero dei nemici avrebbe contato poco e il valore e la forza dei suoi guerrieri sarebbe stata sufficiente.
Fu proprio in quello stretto passo che circa 6000 greci (tra i quali, oltre ai celebri “300”, ricordiamo i 1000 Tespiesi che restarono al fianco di Leonida fino all'ultimo uomo) attesero l’arrivo del più potente esercito dell’antichità, dopo aver restaurato le mura difensive costruite tempo addietro dai focesi.
Venuto a sapere che i famigerati guerrieri spartani erano alla testa dei difensori, Serse mandò degli ambasciatori per offrire la resa in cambio di favori e ricchezze, ma al loro deciso rifiuto replicò con le minacce dicendo che quando gli arcieri persiani scagliavano le frecce tutti insieme erano in grado di oscurare il cielo, a questo punto il luogotenente di Leonida rispose con la famosa frase: “Vuol dire che combatteremo all'ombra”.
Forse questa frase non fu mai pronunciata, ma sicuramente rende l’idea di quale fosse lo spirito degli spartani, pronti a combattere e a morire per mantenere alto l’onore della loro città.
Re Leonida decise di resistere ad oltranza attendendo rinforzi dagli alleati e si mise alla testa dei suoi uomini nonostante l’età, per l’epoca, avanzata (Leonida aveva circa cinquant'anni).
Serse, convinto di risolvere la battaglia in poche ore, mandò contro i nemici la prima ondata d’assalto, ma i greci, armati pesantemente con corazze di bronzo, elmi, scudi e lunghe lance, dimostrarono la loro superiorità tattica facendo strage degli invasori armati alla leggera e con scudi in vimini.
La superiorità spartana derivava soprattutto dalla tattica a falange, che consisteva in ranghi serrati nei quali ogni combattente difendeva il suo vicino; gli opliti combattevano in linea con diverse file sovrapposte, solo quella avanzata combatteva mentre le altre avevano il compito di spingerla per permetterle di reggere l’urto del nemico, quando la prima fila dava segni di stanchezza veniva sostituita dalla retroguardia consentendo all'avanguardia di poter sempre contare su guerrieri freschi.
L’esercito persiano era imbattibile nei grandi spazi, per l’80% si componeva di fanti e per il restante da cavalleria, quindi in un luogo angusto come il passo delle Termopili, non poteva dispiegare appieno le sue forze.
Il secondo giorno, dopo la disfatta del primo, il re persiano decise di impiegare la sua guardia personale, gli immortali, un contingente di diecimila uomini i cui membri uccisi o feriti gravemente venivano immediatamente sostituiti in modo che il loro numero fosse sempre lo stesso; purtroppo per Serse anche quella giornata si rivelò fallimentare e i cadaveri degli immortali (che di fatto non lo erano per niente) vennero raccolti in enormi mucchi.
Serse, frustrato dagli scarsi risultati ottenuti e non capacitandosi del fatto che un pugno di uomini riuscisse a tenere in scacco il suo potente esercito, intensificò gli attacchi, ma ogni tentativo si infrangeva contro gli scudi degli opliti.
La situazione cambiò radicalmente quando un greco di nome Efialte tradì il suo popolo rivelando ai persiani l’esistenza di un sentiero che conduceva alle spalle dei difensori delle Termopili.
Il passaggio segreto era presidiato da un migliaio di focesi che ai primi scontri col nemico fuggirono lasciando libero il campo.
Leonida venne a sapere che presto sarebbe stato preso tra due fuochi e decise di continuare la lotta tenendo con sé, oltre i suoi uomini, soltanto i tebani, i tespiesi decisero invece di restare volontariamente e si batterono con coraggio fino all'ultimo uomo.
Alcune spie persiane, vedendo gli spartani intenti a pettinarsi i capelli, ungersi il corpo di olio e fare colazione, pensarono ad un eccesso di vanità, non capirono invece che si approntavano a preparare il loro corpo alla morte, in quest’occasione Leonida pronunciò infatti la famosa frase: “Spartani fate una bella colazione, stasera ceneremo tutti insieme all'Inferno!”.
La battaglia finale fu una vera e propria carneficina, i greci, chiusi tra i due contingenti nemici, si batterono fino alla fine con ogni arma a loro disposizione; quando Leonida venne ucciso si scatenò una gara per appropriarsi del suo cadavere, gli spartani riuscirono due volte a sottrarlo agli uomini di Serse, ma alla fine dovettero soccombere sotto la stretta mortale delle armi degli avversari.
Quella delle Termopili fu una battaglia importante non tanto dal punto di vista militare perché fu una delle più grandi sconfitte per gli elleni, quanto dal punto di vista morale e strategico, infatti l’eroica resistenza di Leonida e dei suoi alleati consentì al resto dei greci di riorganizzarsi  e potenziare le loro capacità difensive, inoltre ridimensionò la baldanza dei persiani che da allora nutrirono un sacro timore nei confronti dei terribili guerrieri spartani.
Dopo questa famosa battaglia il sacrificio  di Leonida entrò nella leggenda e venne assurto ad emblema delle virtù guerresche e morali degli spartani.

Fabrizio e Giovanna

Riferimenti bibliografici: Erodoto "Storie, libro VII"

venerdì 5 ottobre 2012

Archeologia: Creta, trovato edificio minoico di 3500 anni fa

(di Demetrio Manolitsakis) - ATENE, 4 OTT - Un incontro fortuito, avvenuto nel 1982, fra il noto archeologo greco Yannis Sakellarakis e un pastore cretese e' all'origine di una scoperta archeologica di eccezionale importanza. Si tratta di Zominthos, un insediamento del periodo minoico nell'omonimo altopiano a 1.187 metri sul livello di mare, alle pendici dello Psiloritis, il monte piu' alto di Creta, e a circa otto chilometri dal villaggio di Anogia, sulla strada che portava da Cnossos all'Ideon Andron, la grotta dove secondo la mitologia nacque Zeus. Il pastore, che viveva ad Anogia, invito' l'archeologo - allora impegnato in alcuni scavi nella zona - a visitare il terreno di pascolo del suo gregge che si trovava appunto a Zominthos. Il nome era sufficiente per far sospettare ad un esperto come Sakellarakis che forse qualcosa di importante si trovava in quella località dal nome antico. Infatti, recatosi a Zominthos il giorno seguente, si rese conto di trovarsi davanti ad un insediamento di epoca minoica i cui resti erano nascosti da una folta vegetazione. Un anno dopo, nell'estate del 1983, Sakellarakis insieme con la collega Efi Sapouna–Sakellaraki (sua compagna di vita e di lavoro) avvio' i primi scavi durati fino al 1990, poi ripresi nel 2004 e tuttora in corso.


Notizia completa: http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/cultura/2012/10/04/Archeologia-Creta-trovato-edificio-minoico-3500-anni-fa_7575516.html

sabato 15 settembre 2012

OMAGGIO FOTOGRAFICO AL SITO ARCHEOLOGICO DI POMPEI





Ultimamente Pompei è stata oggetto dell’ennesimo crollo dovuto all’incuria e alla superficialità degli interventi ministeriali degli ultimi anni.
Con questo post fotografico vogliamo rendere omaggio a questo meraviglioso complesso archeologico e artistico che registra migliaia di visite al giorno, con la speranza che possa destare o ridestare l’interesse verso l’immenso patrimonio monumentale che il nostro paese ha a disposizione e che possa diventare il simbolo di un nuovo modo di concepire la valorizzazione dei beni culturali italiani.
PORTA MARINA

BASILICA


PARTICOLARE DEL PORTICATO DEL FORO A SINISTRA,
EDIFICIO DI EUMACHIA A DESTRA E  VESUVIO SULLO SFONDO


FORO
FORO

PORTICATO CHE CIRCONDA IL TEMPIO DI APOLLO
TEMPIO DI VESPASIANO

VIA DELL'ABBONDANZA
VIA DELL'ABBONDANZA

VICOLO

   
VICOLO

TERME STABIANE

VISTA DALL'ALTO
VISTA DALL'ALTO


FULLONICA DI STEPHANUS
 
PROPAGANDA ELETTORALE


DOMUS DELLA VENERE IN CONCHIGLIA
DOMUS DELLA VENERE IN CONCHIGLIA

ANFITEATRO
ANFITEATRO


TEMPIO DI ISIDE
Nicola S.









lunedì 3 settembre 2012

LA SARDEGNA VISTA DAGLI STORICI ANTICHI - II PARTE -


 Pausania

   
Proseguiamo il discorso sugli storici antichi che in qualche modo siano utili alla conoscenza del remoto passato della Sardegna.
 Facendo un salto temporale di alcuni secoli analizziamo l’opera del periegeta Pausania, erudito greco del II secolo d.C., grazie al quale siamo in grado di avere notizie molto interessanti sui primi mitici civilizzatori dell’Isola.
Lo scritto di Pausania appare in parte influenzato e debitore delle tradizioni precedenti, soprattutto quelle importate da Timeo[1] e Diodoro Siculo.
 La narrazione sugli avvenimenti riguardanti la Sardegna prende spunto dalla notizia di una delegazione di sardi che nel VI secolo a.C. portarono al santuario di Delfi una statua di bronzo “di colui che diede loro il nome”[2]; nel proseguo del suo discorso l’autore fornisce una descrizione storica e geografica dell’Isola che, a suo dire, regge il confronto come dimensioni e fertilità con quelle più importanti e famose.
 Il periegeta ci fornisce anche le misure, infatti, secondo lui, raggiunge una lunghezza di 1200 stadi e 470 di larghezza;  a fronte di questa precisione dichiara di non conoscere quale fosse il nome originario della Sardegna.
Il nome Ichnusa fu dato dai greci che navigavano per commercio perché la sua forma ricorda quella di un piede umano, il nome attuale viene da Sardo figlio di Maceride, l’Eracle egizio-africano, autore di un celebre viaggio a Delfi. che, con una colonia di libi (africani), si stabilì in Sardegna.
I nuovi venuti furono accolti pacificamente dagli indigeni (di cui Pausania non conosce l’origine e che Strabone definisce Tirreni) più per la loro superiorità numerica che per mera ospitalità; né gli uni né gli altri sapevano edificare città, quindi vivevano in capanne e grotte.
Aristeo, secondo il periegeta, è il primo degli elleni a giungere in terra sarda, immediatamente dopo i libi[3] di Sardo, qualcuno ha voluto leggere questo mito come il retaggio di contatti tra Egei e Sardi in epoca Micenea.
 Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, addolorato per la morte del figlio Atteone, non riuscendo più a vivere in Beozia decise di recarsi in Sardegna.
 Pausania riporta anche la notizia che, insieme all’eroe greco, giungesse sull’isola anche Dedalo, il famoso architetto che edificò il labirinto di Cnosso, fuggito a causa della pressione dei cretesi. L’autore però dimostra di non credere a questa notizia perché secondo le sue fonti Dedalo visse a Tebe al tempo in cui regnava Edipo.
 Neppure Aristeo e i suoi coloni costruirono città perché, secondo il mito, non avevano una sufficiente forza-lavoro a disposizione.
Secondo alcuni studiosi il fatto che nemmeno Aristeo avesse edificato città potrebbe retrodatare il ricordo della presenza di gruppi umani provenienti dall’Ellade addirittura al neolitico finale o inizio dell’eneolitico (per la Sardegna il periodo che corrisponde alla Cultura di Monte Claro).
Dopo Aristeo giunse nell’Isola una spedizione di Iberi capeggiati da Norace[4], figlio di Ertea nata da Gerione e Mercurio, ai quali secondo il mito si deve l’edificazione di Nora, la prima città della Sardegna.
Norace è quindi il primo edificatore di città, la sua presenza in Sardegna è da ascrivere quasi sicuramente all’epoca storica.
Il quarto eroe che mise piede nell’Isola fu Iolao, a capo dei Tespiesi figli di Eracle e delle figlie del re di Tespie e di un gruppo proveniente da altre parti dell’Attica.
 I coloni edificarono la città di Olbia e gli Ateniesi in particolare Ogrille.
In Pausania si evidenzia il chiaro intento di ascrivere il mito di Iolao all’azione dei coloni Attici e, in particolare agli Ateniesi, mentre questo non è riscontrabile nella tradizione riportataci da Diodoro Siculo.
 Secondo varie tradizioni a Iolao si devono l’introduzione delle leggi e la costruzione di palestre, ginnasi e tribunali che perdurarono per alcuni secoli e lo stesso Pausania riferisce che ai suoi tempi (II sec. d.C.) esistevano ancora in Sardegna dei luoghi chiamati Iolaei  in cui Iolao era venerato come il dio padre fondatore.
 Il Periegeta introduce anche il mito di Troia attraverso l’espediente della dipartita dei Troiani dalla loro distrutta patria e dal loro fortuito approdo nell’Isola dove si mescolarono con i greci preesistenti.
Non manca un piccolo accenno ai “Barbari” abitanti primigeni dell’Isola definiti Tirreni sia da Strabone, sia in uno scolio al Timeo di Platone[5], i quali, secondo l’autore, non attaccarono i Greci perché il loro numero non lo consentiva e perché tra i due schieramenti si frapponeva “l’invalicabile confine del fiume Tirso[6].
La compagine greca fu distrutta da un’altra ondata di popoli provenienti dall’Africa e solo alcuni di loro si salvarono, i Troiani invece riuscirono a sfuggire ai nemici rifugiandosi sulle montagne mantenendo il nome di Iliensis fino ai tempi di Pausania, pur assomigliando per usi, costumi e armamenti agli africani.
Le notizie del periegeta sono frammentarie ed ammantate di apporti mitologici, egli scriveva nel II sec. d.C., epoca in cui la Sardegna era solidamente sotto il controllo di Roma, quindi è ovvio che le notizie in suo possesso provenissero da tradizioni di seconda mano contaminate da elementi di cui è rimasta una traccia molto vaga. 


Fabrizio e Giovanna

Riferimenti bibliografici:

Pausania, Periegesi dell'Ellade

Ignazio Didu, I greci e la Sardegna



[1] Probabilmente Timeo di Tauromenio, storico greco vissuto tra la II metà del IV secolo e l’inizio del III secolo a.C.
[2] pausania, Periegesi dell’Ellade, X, 17, 1 ss.
[3] Gli antichi identificavano la Libia con l’intero continente africano
[4] Per il mito e le implicazioni storiche di Norace  rimandiamo ad un prossimo post che tratterà specificamente le interpretazioni storiche dei diversi miti
[5] In tale scolio si narra che il nome dell’Isola si deve alla moglie di Tirreno che si chiamava appunto Sardò
[6] In realtà allora come oggi  il fiume poteva essere guadato senza grosse difficoltà soprattutto da parte di presunti navigatori esperti quali erano i Greci; in tal modo l’autore dimostra oltretutto di non conoscere geograficamente il territorio oggetto del suo racconto.

sabato 25 agosto 2012

La cattedrale di Saint-Pierre a Beauvais



Beauvais, in Piccardia, è città di antica origine preromana. Situata in felice posizione a metà strada tra Parigi e Amiens, ebbe notevole importanza in epoca medioevale, come testimoniano le grandiose strutture della sua cattedrale e altri monumenti cittadini.
Certamente meno nota rispetto alle illustri “vicine” di Parigi, Reims, Amiens, Laon, Chartres, Rouen, la cattedrale di Beauvais merita particolare attenzione per alcune sue particolarità, che ne fanno uno degli esempi più impressionanti del virtuosismo architettonico sperimentato nei grandi cantieri gotici del XIII secolo nel nord della Francia.
Sorto nel luogo della precedente cattedrale, l’edificio si presenta incompiuto ed è frutto di diverse fasi costruttive ben distinguibili e di vicissitudini documentate. Di quella che sarebbe dovuta diventare una delle cattedrali più vaste d’Europa, possiamo oggi ammirare il coro, il transetto e la prima campata della navata centrale.
Vista transetto e coro da S-E

L’interruzione definitiva del cantiere alla fine del XVI secolo ha concesso la rara opportunità di poter ancora osservare, davanti alla chiesa gotica, un moncone della cattedrale preromanica, destinato a scomparire progressivamente con la costruzione del corpo delle tre navate, mai cominciato. I resti di questo antico edificio sono di notevole interesse; datata generalmente al X secolo e rimaneggiata nell’XI e nel XII, la chiesa primitiva, nota localmente come Notre-Dame-de-la-Basse-Oeuvre, mostra forme architettoniche che la avvicinano ai pochissimi esempi superstiti di architettura carolingia. Dell’impianto basilicale con corpo trinavato si conservano la facciata, caratterizzata da un profilo a salienti e da una grande finestra monofora con luce semicircolare, e un piccolo tratto delle tre navate e dei fianchi, purtroppo molto restaurato e risarcito nel corso dei restauri.
È documentato che l’antica chiesa fu gravemente danneggiata da un incendio nel 1225.

L'antica cattedrale fagocitata dalla "nuova" 

Facciata dell'antica cattedrale carolingia
Particolare dell'interno 

L’avvenimento segna l’atto di fondazione del nuovo edificio, che probabilmente venne iniziato poco tempo dopo, più o meno contemporaneamente al cantiere della cattedrale di Amiens (iniziata nel 1220), ma con proporzioni ancora più ambiziose: la nuova cattedrale avrebbe dovuto essere una delle più grandi mai costruite e certamente la più alta; l’evoluzione del sistema costruttivo gotico, perfezionatosi nel corso della seconda metà del XII secolo e nei primi decenni del XIII, consentiva ormai l’erezione di strutture notevolmente ardite; il coro della cattedrale di Beauvais, a tre navate, con deambulatorio e sette cappelle radiali, fu portato a termine con molta lentezza e completato in circa mezzo secolo, ed è ancora oggi il più alto del mondo, con le volte a crociera che coprono lo spazio interno a un’altezza di oltre 48 metri. Inoltre, per consentire l’ingresso libero della luce attraverso le altissime vetrate (le finestre sono alte circa 18 metri), si tentò di assottigliare al massimo possibile lo spessore dei contrafforti esterni e degli archi rampanti che dovevano sostenere i carichi.

Cappella del deambulatorio
Vetrate della parete S del coro

Ne risultò una struttura straordinariamente leggera e ardita, ma altrettanto fragile, dato che, già pochissimi anni dopo la consacrazione, iniziarono a presentarsi i primi problemi di stabilità, che portarono a un crollo delle volte del coro e delle parti alte dei muri perimetrali nel novembre del 1284. I lavori di restauro e ricostruzione procedettero fino a circa il 1350, e dovettero per forza di cose apportare delle piccole modifiche al progetto iniziale, al fine di dare maggiore stabilità all’edificio: la pianta rimase invariata, ma venne aumentato il numero dei pilastri riducendo la luce degli archi (particolare che, tra l’altro, dà alla struttura interna uno slancio ascensionale ancora maggiore: gli archi si impostano a oltre 20 metri dal suolo) e rinforzando il sistema dei contrafforti radiali all'esterno. L’altezza rimase immutata.
Coro
Coro

Dalla metà del Trecento e per tutto il Quattrocento il cantiere subì una lunga stasi, anche a causa della precarietà della situazione politica ed economica del Regno, funestato dagli avvenimenti della Guerra dei Cent’anni.
Il cantiere riprese vigore nell’anno 1500, quando si pose mano all’edificazione del transetto trinavato davanti al coro; la nuova struttura, caratterizzata da una ricca decorazione in stile gotico flamboyant, si salda armonicamente al coro due-trecentesco, specialmente per quanto attiene allo spazio interno, dove le altezze e le proporzioni delle campate e delle volte dovettero adattarsi a quanto già esistente.
Il nuovo transetto si caratterizza esternamente per l’ esuberanza dei prospetti delle testate nord e sud, caratterizzate da una ricchissima ornamentazione a traforo su tutte le superfici. 
Testata del transetto S
Testata del transetto N

Portato a termine in un cinquantennio, il cantiere venne chiuso con l’innalzamento, sul vano centrale all’incrocio tra transetto e coro, di una slanciata torre-guglia che superava i 150 metri di altezza, completata nel 1569.

Incrocio tra coro e transetto

La struttura superava in altezza la guglia della vicina cattedrale di Rouen, da poco portata a termine. Una torre del genere, di grande arditezza, non aveva eguali nell’Europa del tempo e testimonia del persistere, ancora nel XVI secolo, della volontà di fare della cattedrale di Beauvais la chiesa più alta della cristianità. Le murature della torre si impostarono su una struttura delicata, già fortemente provata dal punto di vista statico. Pochi anni dopo avvenne l’inevitabile: il 30 aprile del 1573 la torre crollò, portandosi dietro le volte del transetto, da poco completate, e causando seri danni anche al coro. I lavori di ripristino iniziarono quasi subito, come testimoniano le date incise nelle nuove volte del transetto, ma la torre all’incrocio non venne riedificata. Giunti agli ultimi anni del XVI secolo, un cantiere come quello di Beauvais risultava ormai fuori tempo e, cosa di non poco conto, non era facile reperire le somme necessarie al completamento dell’edificio, mancante ancora dell’intero corpo trinavato longitudinale. Il cantiere venne allora definitivamente interrotto e la cattedrale rimase incompiuta.
Al giorno d’oggi le strutture di Saint-Pierre, splendide pur nella loro frammentarietà e discontinuità, dominano l’intero abitato e sono visibili da chilometri di distanza. 


La chiesa resta a testimonianza delle potenzialità costruttive che i maestri del gotico andavano sperimentando nelle cattedrali francesi nella prima metà del XIII secolo e anche del sogno, purtroppo portato a compimento solo in parte, che sta alla base del progetto duecentesco: conferire alla piccola città piccarda il primato di avere la chiesa più alta della cristianità.

I problemi statici dell’edificio non si sono interrotti con il compimento dei lavori cinquecenteschi, e ancora oggi la chiesa deve continuamente essere sottoposta a interventi di consolidamento e restauro, tesi a prevenire ulteriori danni alle già tormentate strutture medioevali.
Non è questa la sede per una descrizione di questi interventi: basti dire che alcune opere restano visibili a tutti, in quanto all’esterno il coro si presenta completamente incatenato a diverse altezze, onde evitare pericolosi movimenti tra i contrafforti e le pareti; all’interno sono invece state installate, nei due bracci del transetto, alcune armature fisse di controspinta.

Braccio N del transetto
Braccio N del transetto

All’interno l’edificio è ulteriormente arricchito da alcuni preziosi arredi e da un interessante corredo di vetrate, databili a epoche diverse, dal XIII secolo a oggi.
Volte del coro

Arcate della parete N del coro
Volte del deambulatorio












Nicola S.




lunedì 6 agosto 2012

LA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA E SUE RIPERCUSSIONI IN SARDEGNA (IL BOMBARDAMENTO ANGLO-FRANCESE)



Torre dei segnali - Colle S. Elia -

Nel 1700 Carlo II  d’Asburgo-Spagna morì senza figli e designò come erede universale Filippo d'Angio', nipote della sorellastra Maria Teresa e del re di Francia Luigi XIV, con la clausola che tenesse separate le due monarchie.
Ad avanzare pretese  sul trono di Spagna c'era anche l'arciduca Carlo d'Asburgo, secondogenito   dell'Imperatore  Leopoldo I e di Margherita Teresa l’altra sorellastra di Carlo II.
Dietro suggerimento del re di Francia Filippo d’Angiò si insediò a Madrid con il nome di Filippo V promettendo di rispettare la volontà del suo predecessore, ma nessuna potenza europea diede credito alle buone intenzioni manifestate dal nuovo monarca, anche perché nel frattempo il re di Francia cominciò ad occupare i presidi spagnoli presenti nei Paesi Bassi e in Lombardia.
Nel 1702 già si profilava lo schieramento antifrancese capeggiato dall’impero Asburgico, che l’anno precedente iniziò la sua opera bellica in Italia; ad esso si unirono l’Inghilterra, le Province Unite seguite poi da Prussia, Portogallo, Svezia e dal duca di Savoia che, fedele alla subdola politica della sua casata, uscì dall’alleanza con la Francia.
I campi di battaglia della guerra di successione spagnola furono, oltre l’Italia, i Paesi Bassi, la Germania e la Spagna.
Nel 1709 vi fu la battaglia più sanguinosa del conflitto, quella di Malplaquet, combattuta fra francesi e anglo-olandesi che segnò la distruzione dell’esercito delle Province Unite.
Nel 1711, dopo la morte dell’imperatore Leopoldo I e del primogenito dello stesso, l’arciduca ereditò i domini asburgici divenendo imperatore con il nome di Carlo VI; a quel punto la sua pretesa di ereditare anche il trono di Spagna allarmò le potenze europee alleate che temevano la creazione di un Impero di dimensioni addirittura maggiori di quello di Carlo V. Nel frattempo in Inghilterra i Tories vinsero le elezioni e manifestarono la volontà di porre termine una guerra divenuta ormai troppo costosa e patrocinata dai  Whigs.
Si giunse così alla pace di Utrecht firmata nel 1713 da Francia e Spagna con Inghilterra, Olanda e Savoia, seguita poi, nel 1714, da quella di Rastatt con l’imperatore Carlo VI.

CON LA FINE DELLA GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA TERMINO' ANCHE IL DOMINIO DELLA SPAGNA IN ITALIA:
Napoli, Sardegna e Milano andarono sotto il dominio dell’Austria, mentre in Sicilia approdò Vittorio Amedeo II di Savoia.

VEDUTA DI CAGLIARI DAL COLLE DI S. ELIA
In Sardegna, durante la Guerra di Successione Spagnola, si delinearono due contrapposti schieramenti che parteciparono localmente agli eventi bellici: quella filo austriaca e quella filo spagnola; la prima cooperava per contrastare Filippo d’Angiò e appoggiava le mire di Carlo VI tese a conquistare la Sardegna con l’appoggio dell’Inghilterra, che il 5 agosto del 1708 organizzò la partenza da Barcellona di un’armata navale  anglo - olandese comandata dall’ammiraglio John Leake.
Quando la flotta comparve nel golfo di Cagliari il viceré Pietro Nuño Colon marchese di Giamaica, fece rinforzare le difese nel promontorio di Sant’Elia e fece eseguire riparazioni al Bastione di Gesus e alla Batteria di Bonaria; ordinò anche la mobilitazione generale, ma quest’ordine fu disatteso dalla fazione filo austriaca composta dal comandante della cavalleria miliziana il conte di Montesanto, dall’Intendente del Regio Demanio Don Gaspar Carnicier e dal marchese della Guardia e governatore del Capo di sotto Don Antonio Genoves.
Dopo aver inutilmente intimato la resa l’ammiraglio Leake la notte dell’11 agosto ordinò il bombardamento della città che terminò la mattina del 12 con lo sbarco incontrastato nei pressi del Lazzaretto di S. Elia.

In città vi fu una vera e propria rappresaglia nei confronti dei francesi e dei cagliaritani filo spagnoli che furono cacciati e si videro privati delle loro case, la situazione era ormai sfavorevole per il viceré che decise di arrendersi e i vincitori, il 13 agosto del 1708, entrarono trionfanti nel quartiere di Castello presidiando i punti strategici della città.
Dopo quasi 400 anni di governo spagnolo la Sardegna passò prima nella sfera di influenza austriaca e poi a quella dei Savoia, di cui parleremo nei prossimi post.


Fabrizio e Giovanna


Riferimenti bibliografici:

- A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, L'età Moderna
Bartolo Guido, De Waele Jo & Tidu Alessandro (2005),  Il Promontorio di Sant'Elia in Cagliari
- Rassu Massimo, Baluardi di pietra. Storia delle fortificazioni di Cagliari