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domenica 20 aprile 2014

IL SANTUARIO DI DELFI



Il santuario panellenico di Delfi, situato ad un’altitudine di 500 metri sulle pendici del monte Parnaso, fu il più importante santuario del mondo greco. 

Le due zone principali di cui si compone il sito archeologico sono separate dalla sacra fonte Castalia, in quella situata  più in basso sono presenti i resti di un ginnasio con palestra e bagni, il santuario di Atena Pronaia  ed una Tholos rotonda circondata da venti colonne doriche; La zona più alta comprende molti monumenti votivi, una lunga serie di Tesori come quelli  degli Ateniesi e degli Spartani, il Parlamento, la colonna ionica che sorreggeva la sfinge dei Nassi, la "roccia della Sibilla" con la tomba del serpente Pitone, tempio di Apollo, l'antico teatro e lo stadio dove si svolgevano i giochi pitici.

TESORO DEGLI ATENIESI

Il monumento simbolo del santuario, oltre al tempio di Apollo, è l’Omphalos che, secondo i greci, rappresentava il centro dell’universo.
Una tradizione infatti racconta che Zeus, volendo sapere quale fosse il centro del mondo, avesse liberato due aquile di pari forza da uno stesso punto in due direzioni opposte, il luogo dove esse si incontrarono fu appunto Delfi che da quel momento divenne il fulcro dell’universo segnalato da una pietra conica (betilo), l’Omphalos.

L’origine sacra del sito è probabilmente molto più antica del tempo in cui fu consacrato ad Apollo, infatti numerose evidenze archeologiche dimostrano la frequentazione cultuale nella famosa fonte Castalia, quasi sicuramente il fulcro da cui si sviluppò l’intero santuario.

Le prime frequentazioni furono quasi certamente di epoca micenea e, pur non sapendo la data ufficiale della consacrazione ad Apollo, possiamo comunque presumere che essa avvenne dopo la cosiddetta “invasione dorica”.
TEMPIO DI APOLLO

La modalità con cui avvenne questa consacrazione ci fa pensare ad una rottura con un ordine preesistente, infatti Apollo conquistò Delfi uccidendo il pitone o la dracèna, come definita nell’inno omerico ad Apollo, che custodiva la fonte Castalia.

Il mito ci racconta che il dio discendendo dall’Olimpo, dove il padre Zeus gli infuse l’arte mantica o della profezia (in altre tradizioni si afferma che Apollo abbia carpito quest’arte da Pan), si impegnò a cercare la  sua dimora sulla terra dove erigere un tempio in suo onore; dapprima si diresse alla fonte Telfusa che però lo convinse ad andare presso la fonte Castalia, custodita e protetta dalla Dracèna (un drago di sesso femminile), o un drago o pitone, comunque un grosso rettile dove stabilì il suo tempio dopo aver ucciso l’avversario con una freccia (che simboleggia il raggio del sole comandato dal dio).
COLONNE DEL TEMPIO DI APOLLO

Questa cesura col passato non intendeva cancellarne completamente il ricordo, infatti la donna che vaticinava gli oracoli del dio si chiamava Pizia o Pithia in ricordo della pitonessa uccisa dal figlio di Zeus quasi a voler simboleggiare un legame con il passato che, evidentemente i nuovi venuti non sentivano estraneo, come dimostrano i poemi omerici che parlano degli Achei per esaltare le origini e i valori dei greci.

Il santuario di Delfi ricoprì il suo ruolo di punto di riferimento spirituale per tutto il mondo ellenico e anche per le popolazioni che entrarono in contatto con i greci per più di mille anni, conoscendo il suo massimo splendore nell’epoca che siamo soliti chiamare classica attraverso alterne fortune fino a quando il fervore religioso dell’imperatore Teodosio ne decretò la distruzione.
AGORÀ ROMANA

Pausania nella "Descrizione della Grecia" del II secolo d.C, riferisce che tra i doni dedicati ad Apollo nel suo tempio a Delfi, trovava posto una statuetta del Sardus Pater, donata dai barbari che sono ad occidente ed abitano la Sardegna, indubbiamente parlava dei sardi; questo particolare ci chiarisce due concetti fondamentali: che i sardi  all’epoca  del dono (probabilmente nel VI secolo per celebrare la vittoria sul generale cartaginese Malco) avevano piena sovranità sull'isola e che il santuario delfico era un punto di riferimento anche per le popolazioni lontane dalla Grecia.
MURO POLIGONALE
Nel luogo sacro oltre ad Apollo veniva venerato anche Dioniso, altra figura importantissima (già menzionata precedentemente nei post ORIGINI DEL MITO DIONISIACO IL MITO DI DIONISO E SUOI POSSIBILI COLLEGAMENTI CON LA SPIRITUALITA’ DELLA SARDEGNA ANTICA - I PARTE) della spiritualità misterica del mondo greco, infatti Eschilo nelle Eumenidi dice che Bromio (epiteto di Dioniso) è il signore del luogo e che da li si mosse con il suo esercito di baccanti (le sacerdotesse seguaci del dio) per punire ed uccidere Penteo di Tebe.

Dioniso regnava su Delfi durante i mesi invernali, egli era simbolo di resurrezione e della ciclicità della natura, infatti, dopo il solstizio invernale le ore di luce vanno via via aumentando, il sole inizia la sua lenta risalita dalle tenebre, il figlio di Zeus e Semele rappresentava il sole dei morti che si avviava a nuova vita.

A Delfi non si svolgevano solo rituali religiosi, ma era molto importante anche per le gare Pitiche, seconde per importanza solo alle Olimpiadi, a differenza delle quali prevedevano oltre alle prove ginniche anche esibizioni poetiche, canore e musicali.
PARTICOLARE DEL TEATRO

Nel grande santuario greco non vi era differenza di prestigio tra gli atleti e gli artisti, essi infatti godevano di pari dignità, un caso purtroppo unico nella storia dell’umanità.
I vincitori di tali gare avevano il diritto di edificare dei monumenti in ricordo dei loro trionfi.

Una scritta all’ingresso del tempio di Apollo recitava “conosci te stesso”, questo era il più importante avvertimento che veniva dato al supplice che chiedeva il responso all’oracolo, esortandolo a prendere coscienza del proprio essere affinché entrasse in sintonia con il dio.

Dopo i rituali di purificazione e i sacrifici rituali, il devoto era ammesso alla presenza della Pizia che dava il suo responso seduta sul sacro tripode tramite versi incomprensibili, il sacerdote di Apollo interpretava il vaticino e lo metteva per iscritto, in prosa o in esametri.
VIA SACRA
Se le parole della Pizia erano incomprensibili, l’interpretazione del Sacerdote erano spesso stravaganti ed enigmatiche, molto spesso i vaticini dovevano essere interpretati vista la loro ambiguità.

Ricordiamo come caso esemplare quello di re Creso sovrano del potente regno di Lidia che si recò a Delfi in vista della sua imminente campagna militare contro la Persia di Ciro il grande per chiedere il parere della Pizia.
La risposta che ottenne fu: "Se Creso attraverserà il fiume Halys cadrà un grande impero".
Il re credette che il vaticinio gli fosse favorevole e mosse senza indugio contro i persiani, il suo esercito venne distrutto e venne fatto prigioniero da Ciro, fu così che il suo grande impero cadde e si avverò la profezia di Apollo.

In questo caso l’errata interpretazione della volontà di Apollo provocò la caduta di un grande regno, ma in alcuni casi le parole della pitonessa salvarono i devoti del dio.

Vista la grande importanza del santuario delfico, nessuna decisione importante poteva essere presa senza conoscere la volontà del figlio di Zeus.

Un esempio di interpretazione corretta dell’oracolo si può ritrovare nelle vicende di Atene e Sparta durante le guerre persiane: in occasione del tentativo di invasione da parte dell’esercito di Serse, sia gli ateniesi che gli spartani si rivolsero all’oracolo delfico per conoscere il loro destino. 

Nel caso di Atene la Pizia disse all'emissario che gli abitanti dovevano abbandonare la città e che la loro salvezza sarebbe stata un muro di legno; Temistocle utilizzò l’oracolo per convincere i suoi concittadini ad abbandonare la città e fare affidamento sulla potente flotta ateniese.
La sua interpretazione si rivelò esatta e le sue navi sbaragliarono quelle persiane, coloro che lo seguirono ebbero salva la vita mentre chi rimase in città morì sotto le macerie della stessa.

Nel caso di Sparta l’oracolo disse che per la salvezza della città sarebbe dovuto morire un re, probabilmente proprio queste parole spinsero re Leonida a resistere fino alla morte al passo delle TERMOPILI, dando così il tempo ai suoi alleati di organizzare una difesa adeguata contro gli invasori persiani.

A dimostrazione della grande importanza che il santuario rivestì per il mondo antico basti pensare che, nel corso dei secoli, sovrani e poleis lo arricchirono di splendidi monumenti e doni, come ad esempio il tesoro degli ateniesi, al fine di ingraziarsi la divinità e acquisire prestigio e grandezza agli occhi dei loro alleati o avversari.
MURO POLIGONALE CON IL TESORO DEGLI ATENIESI 
IN FONDO A SINISTRA

MONUMENTO DEI RE DI ARGO


Il discorso relativo alla storia e alla spiritualità del santuario delfico non si esaurisce con questo post, ma verrà approfondito in future riflessioni che intendiamo condividere.

Fabrizio e Giovanna
Foto di Nicola S.

mercoledì 16 aprile 2014

IL NURAGHE ORGONO DI GHILARZA





Il nuraghe Orgono si trova a circa 2 chilometri di distanza dal centro del paese di Ghilarza (OR) ed è raggiungibile dalla strada statale 131 DCN all’altezza del sesto chilometro.

Esso è un esempio di un nuraghe a corridoio allargato.


Nell’ingresso manca il corridoio di accesso: quello che sembrerebbe l’ingresso risulta infatti arretrato rispetto a quanto sopravvive del muro perimetrale più ampio. L’accesso alla camera era introdotto anticamente da due successivi ingressi con vano trasversale intermedio








Superato l’architrave, gli stipiti interni si allargano sensibilmente, mentre il soffitto s’innalza bruscamente per dare luogo alla grande e inusitata copertura che appare come la forma risultato di due fatti costruttivi: l’alto incontro delle pareti lunghe aggettanti e la copertura ad ogiva.


Nella camera si affacciano due grandi nicchie, alte e della stessa forma sub-quadrangolare, una per parte sfalsate:
Quella di sinistra appare sollevata di circa 50 cm dal suolo per una sorta di bancone, in tutta evidenza ben successivo all’impianto originale.


La seconda, a destra, mostra sul fondo una sorta di budello o pertugio-feritoia, che attraversa lo spesso muro nel “cuore” dell’ambiente.



Al fondo della camera si apre un’apertura relativamente bassa e attraverso questa si accede ad un deambulatorio di raccordo, profondo m. 2,5.


Da qui, dopo uno sviluppo a gomito, prende avvio una lunga rampa intermuraria ascendente, fornita di gradini eterogenei, e attraverso essa, dopo 11 metri si accede al piano rialzato.



Giunti alla sommità l'architettura è riconducibile a quelle dei nuraghes a sviluppo verticale. La torretta all’esterno presenta i paramenti murari realizzati in blocchi più regolari, disposti a filari, dalle dimensioni ben più contenute.
L’andito di raccordo, oggi poco leggibile, sicuramente doveva ancora continuare direttamente al terrazzo.


Esternamente presenta una particolare porta sopraelevata sul lato nord/nord-est che immette in un corridoio a L; gli studiosi hanno fornito diverse interpretazioni circa la sua funzione, tra queste ricordiamo quella che ritiene si trattasse di un accesso murato in antico e quella ipotizzata da Massimo Pittau, che la identifica come una nicchia impiegata per l'esposizione di un'idolo nuragico.




Fabrizio e Giovanna

Notizie tratte da:
Massimo Pittau, La Sardegna nuragica
Giacobbe Manca, Il nuragico arcaico e il nuraghe Orgono