La piccola chiesa di San Giovanni
Battista sorge in uno slargo di rispetto nel cuore del centro storico di
Assemini, importante centro dell’area metropolitana di Cagliari, a circa
quindici chilometri dal capoluogo.
A brevissima distanza si trova la
parrocchiale di San Pietro, di fabbrica più tarda, che ha restituito elementi
epigrafici e architettonici databili a età bizantina, di cui però sono incerte
la provenienza e la collocazione originarie.
Chiesa di San Pietro |
A dispetto delle ridotte
dimensioni, l’edificio costituisce una delle massime testimonianze di
architettura bizantina dell’intera Sardegna. Nonostante sia quasi sconosciuta
al grande pubblico, la chiesa è tuttavia molto nota alla storiografia artistica
locale che, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si è spesso
soffermata sulle peculiarità architettoniche e decorative della piccola chiesa
con un cospicuo numero di contributi scientifici che hanno tentato di
ricostruire le sue vicende costruttive e di darle una corretta collocazione
all’interno del più ampio quadro dell’architettura bizantina nelle province periferiche
dell’Impero d’Oriente.
I risultati a cui i diversi
studiosi sono giunti nel corso del tempo sono, però, molto spesso, discordanti
e contraddittori. Uno dei limiti di alcuni di tali studi è dato dal fatto che,
per la datazione dell’edificio ci si è spesso affidati alle caratteristiche
stilistiche del ricco corredo di marmi decorativi ed epigrafici custoditi
all’interno; essi, databili con relativa sicurezza ad età mediobizantina, tra
il X e i primi dell’XI secolo, si inseriscono nel quadro di un’ampia serie di
marmi dello stesso tipo presenti in altre chiese sarde e in diverse raccolte
museali della regione.
Questi elementi di arredo, di alta qualità, sono stati
messi in relazione con una delle fasi di vita del piccolo edificio, e a volte intesi
come parte integrante del corredo liturgico e decorativo originario della prima
fase. In realtà, lungi dal documentare strettamente una fase architettonica ben
precisa, essi testimoniano tutt’al più – se appartenenti fin dall’origine al
San Giovanni – una fase di vita della chiesetta, senza tuttavia vincolare a
datazioni così basse la struttura architettonica stessa, che può, senza
problemi, essere fatta risalire a una fase molto più alta del X secolo.
La struttura architettonica
stessa non è leggibile con facilità, e crea diversi problemi di interpretazione
a chi si accinge a esaminarla con
criterio scientifico al fine di ricostruirne l’icnografia originaria e i
dettagli planimetrici e architettonici.
Già a un esame superficiale
dall’esterno, la chiesa mostra la sua peculiarità icnografica, che ne fa un unicum nel quadro delle architetture superstiti
della Sardegna bizantina: la chiesa mostra, infatti, una pianta a croce greca
inscritta in un quadrato, con pseudo cupola all’incrocio dei bracci.
L’icnografia a croce inscritta è, allo stato attuale delle conoscenze, l’unica
presente sul territorio sardo, e le peculiarità della struttura architettonica
dell’edificio, ne fanno un unicum
anche nel più ampio contesto dell’Italia meridionale. Infatti la totalità delle
chiese bizantine sarde che mostrano uno sviluppo planimetrico cruciforme,
presenta un impianto a croce libera con cupola centrale.
Le quattro camere
angolari, anche ad una ricognizione frettolosa, mostrano inequivocabili gli
indizi di una loro ricostruzione (o costruzione ex novo a seconda delle interpretazioni fornite) in tempi
successivi all’impianto.
Alcune testimonianze orali raccolte ai primi del
Novecento – che non hanno tuttavia valore scientifico – raccontano della
fabbrica dei quattro ambienti d’angolo in anni di poco precedenti la metà del
XIX secolo. Il principale problema posto dal piccolo edificio è, infatti,
proprio quello della fase d’impianto: la chiesa può aver avuto fin dall’origine
la pianta così come si presenta attualmente, oppure può derivare da una
ricostruzione e ampliamento successivi; non è certamente da scartare anche
l’ipotesi che l’ipotetico ampliamento potrebbe essere avvenuto nel corso della
stessa età bizantina, in tempi e modi difficili da precisare.
Le murature
originarie sono costituite, per la maggior parte, da conci ben squadrati di
calcare locale, di media o grande pezzatura, messi in opera con relativa cura e
perizia. I quattro bracci della croce sono coperti con robuste volte a botte,
che si pronunciano all’esterno a formare un arco leggermente aggettante nelle
testate;
quest’ultimo elemento, tipicamente locale, è comune a diverse altre
architetture bizantine sarde, quali, per esemplificare, la piccola chiesa di
San Teodoro a San Vero Congius (Simaxis) o le strutture di ampliamento del San
Giovanni di Sinis (Cabras), di datazione molto incerta ma certamente da
ricondurre all’epoca bizantina, come dimostra il sistema metrico utilizzato per
la fabbrica. Anche per quanto riguarda il San Giovanni di Assemini, il sistema
metrico utilizzato per il proporzionamento dell’edificio è il piede bizantino,
cosa che serve a fugare ogni dubbio riguardo la sua cronologia relativa.
Le
camere d’angolo, coperte con tetto ligneo a doppio spiovente disposto in senso
trasversale all’asse dell’edificio, mostrano murature più eterogenee, formate
da grossi blocci squadrati disposti con scarsa regolarità e da pietrame più
minuto affogato nella malta.
Sul lato orientale, che ospita l’altare, si apre
una piccola abside dal profilo semicircolare, che emerge dal muro esterno di
testata con proporzioni basse e tozze.
Il prospetto principale, rivolto a
occidente, è caratterizzato da estrema semplicità e mostra i segni di numerosi
rimaneggiamenti: un portale centinato privo di architrave è sovrastato da una
finestra quadrangolare di datazione evidentemente seriore, riquadrata
all’interno dell’arco che segna l’imposta della volta a botte che copre il
braccio ovest, che in questo caso è a filo con il muro di prospetto e non
aggetta; il profilo orizzontale del prospetto è chiuso in alto da un campanile
a vela a unica luce, non originale ma di difficile collocazione cronologica.
Lo
spazio interno, molto angusto, mostra immediatamente la peculiare articolazione
planimetrica dell’edificio; lungo i quattro bracci, sopra le ampie arcate che
danno accesso ai vani angolari, corre una cornice continua lungo tutto il
perimetro con l’esclusione delle testate;
una seconda cornice corre più in alto
a segnare l’imposta quadrata irregolare della piccola cupola emisferica nel
vano di incrocio; essa è per due terzi del suo sviluppo inserita in un tiburio
cubico che, all’esterno, la nasconde parzialmente alla vista, nel quale si
aprono quattro piccole luci quadrangolari che consentono una fioca
illuminazione; gli elementi di raccordo della cupola al quadrato di base non
hanno funzione strutturale, ma, date le ridotte dimensioni della cupola stessa,
sono semplicemente scolpiti nei quattro conci angolari, in modo da dare l’idea
di un raccordo a trombe, come si vede in altri edifici sardi dello stesso tipo
(es. Sant’Antioco nel centro omonimo, Sant’Elia di Nuxis).
Altre finestre
quadrangolari, di apertura sicuramente successiva, nelle testate e nelle camere
d’angolo, e una piccola luce cruciforme sopra l’arco absidale illuminano
l’interno della chiesa.
La ristrettezza dello spazio interno dei bracci – molto
più accentuata rispetto ad altre architetture coeve – costituisce un elemento a
favore della tesi della pianta a croce inscritta fin dall’origine, con un
ampliamento dunque dello spazio interno tale da consentire una minima
abitabilità agli ambienti; da rilevare, inoltre, che le arcate di comunicazione
tra i bracci e le camere d’angolo sembrano coerenti con le murature e non
mostrano di essere state aperte in rottura.
Elemento molto interessante,
rilevato e messo in evidenza con acume da Mark Johnson nel suo ultimo studio
sull’architettura bizantina in Sardegna, è la particolarissima configurazione
dei conci di chiave delle arcate in questione, che mostrano una forma cuneiforme
molto accentuata, che si ritrova praticamente identica nelle pietre di chiave
delle volte a botte dei bracci; tale elemento, unico, sarebbe una prova della
contemporaneità nella fabbrica delle volte e degli archi in questione, salvo
voler ipotizzare una improbabile più tarda imitazione di questo singolo
elemento.
Impossibile ripercorrere nel dettaglio, in questa sede, la storia
degli studi e le diverse proposte interpretative a cui i diversi studiosi sono
giunti ognuno per suo conto, così come è difficile ricostruire il contesto storico
o urbanistico originario in cui la piccola chiesa venne a trovarsi al momento
della sua erezione; né sono chiare o al momento ipotizzabili la committenza o
la sua funzione originaria. La chiesa viene nominata per la prima volta nel
1108, relativamente alla sua donazione, da parte del giudice Mariano Torcotorio
II de Lacon Gunale alla cattedrale di San Lorenzo a Genova; le altre menzioni
sino tutte più tarde.
Gli studi più recenti di Roberto Coroneo e di Mark
Johnson sono giunti, sostanzialmente, alle stesse conclusioni, specialmente per
quanto concerne la datazione della piccola chiesa, alzata da entrambi ad un
periodo compreso tra la metà del VI e il VII secolo, sia per le caratteristiche
architettoniche dell’edificio e per alcuni dettagli decorativi, che la
ricondurrebbero allo stesso contesto storico e architettonico che vide
l’erezione, in Sardegna, della gran parte delle altre chiese ad impianto
cruciforme.
Interessante la proposta di Mark Johnson di indiretta relazione
formale tra questa chiesa e quella del Santissimo Salvatore a Rometta
(Messina), che, tolte le dovute differenze, è l’unico esempio italiano che si
lega strettamente ad essa. Non sono, invece, calzanti i paralleli con altre
chiese a croce greca inscritta di area italica meridionale, quali le chiese di
San Pietro a Otranto (Lecce) o quelle calabresi della Cattolica a Stilo (Reggio
Calabria) e di San Marco a Rossano (Cosenza), che si legano invece agli
sviluppi più tardi del tipo, comuni a quelli di altre aree dell’Impero.
Nicola S.
Bibliografia essenziale:
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