Decimomannu dista pochi chilometri da Cagliari e il suo territorio,
fin dall’età punica, è sempre stato un punto di incontro dei traffici
commerciali che rifornivano il capoluogo dei prodotti dell’entroterra. Il nome
stesso ad Decimum lapidem, riconducibile all'epoca romana, ricorda il suo ruolo
di importante nodo stradale, in esso infatti si incrociavano tre importanti strade
che collegavano l’antica Karales a Sulci (Sant’Antioco), a Othoca (S. Giusta) e
a Turris Libisonis (Porto Torres). Della prima strada si ritrovano le tracce
sulla riva sinistra del Fluminimannu nelle rovine di un ponte del quale rimangono tre arcate.
I trasporti avvenivano anche per via fluviale tramite il medesimo
fiume, come testimoniano i ritrovamenti di anfore puniche contenenti analoghe carni
ovine e bovine macellate, sia nello stagno di Santa Gilla, sia presso il corso
del rio Mannu, un affluente del Fluminimannu, nell’agro di Senorbì, dove era
presente un insediamento indigeno dedito a tale commercio.
Tra le merci che attraversavano i corsi fluviali si
annoverano, oltre alle derrate alimentari, anche quelle destinate alle attività
minerarie, alla carpenteria, all’arredamento e all’artigianato, come
testimoniano le fonti letterarie e i ritrovamenti archeologici. Tra le
citazioni letterarie ricordiamo Tito Livio, il quale riferisce che durante la seconda
guerra punica la flotta romana passò l’inverno a Karales, per far riparare le
imbarcazioni danneggiate durante una tempesta.[1]
Molto probabilmente la stazione di posta di Decimomannu doveva avere anche una funzione di raccordo
per gli spostamenti con imbarcazioni di vario tipo. Il Fluminimannu aveva una
portata tale da poter contenere anche grosse imbarcazioni.
Durante il medioevo, in caso di operazioni militari, per evitare le opere di difesa presenti sulla costa, l’unico modo per avvicinarsi con intenti bellicosi al capoluogo era quello via terra e questo era possibile risalendo la sponda occidentale dello stagno di Santa Gilla, percorrendo la via terrestre da sud-ovest e giungendo al ponte di Decimomannu per ripiegare senza destare sospetti a meridione verso Cagliari.[2]
Nell'estate del 1409 Fluminimannu, eccezionalmente in piena per quella stagione, fu risalito dalle truppe aragonesi comandate del re di Sicilia Martino il Giovane dirette alla conquista del castello di Sanluri.
Di questo ponte abbiamo una descrizione molto dettagliata nell'opera dell’ Angius:
“Su questo (il fiume Carali) è un ponte molto nobile per i
suoi tredici archi; opera quadrata,
però barbara che accusa un’altra antichità, e pare costruzione di materiali di
edifizii d’altro genere. La lunghezza è di metri circa 160, che però per la
continuazione dé parapetti, e lo
protendi mento delle due estremità, pare disteso ad altri m 360. Dalla incuria
e negligenza a ripararlo esso già patisce e non poco in alcune parti, e temesi
sarà fra non molto fuori uso con lungo impedimento al commercio, e pericolo
della vita di coloro, cui alcuna necessità spinga a passare da una in altra
sponda. Siccome di esse tredici foci dieci sono ostrutte; però quando per le
grandi piogge cresca il volume dell’acque, e sia la piena più che possa
smaltire il libero sfogo, esse si sollevano, si reversano dall’una all’altra
parte, e cagionano inondazioni di gran nocumento ai seminati”; p. 18: “Reliquie
riferibili al medio evo […] dobbiam riconoscere di quei tempi il ponte dé tredici
archi, che per quella età era certamente magnifico” [3]
Oltre al padre scolopio Vittorio Angius, anche altri
studiosi dell’antichità, come Giovanni Francesco Fara[4], il canonico Giovanni Spano[5] e
A. Della Marmora[6] hanno
lasciato testimonianze ricche di ammirazione per questo raffinato manufatto.
Negli anni 1995-96 e 1999-2000 l’amministrazione comunale
di Decimomannu realizzò, con il finanziamento della Regione Autonoma della
Sardegna, i primi interventi di restauro e scavo archeologico nel ponte romano
sul rio Fluminimannu.
In quell’occasione, oltre all'esecuzione dei lavori di
restauro, vennero studiate le tecniche costruttive del ponte, di cui rimanevano
ancora in piedi le prime tre arcate.
I confronti con i ponti di Porto Torres, Santa Giusta, Allai ed Alghero-Fertilia, insieme allo studio dei blocchi in calcare locale che si presentano perfettamente squadrati e combacianti tra loro nelle volte, permisero di datare il monumento all’inizio dell’Impero romano (fine I sec. a. C. - inizio I sec. d.C.).
Durante i restauri fu possibile far riemergere circa 50 metri di strada romana realizzata con ciottoli fluviali della quale oggi si intuisce la presenza a causa dello stato di abbandono in cui riversa l’intera area.
La strada è delimitata da lunghi tratti di muro
realizzato con grossi blocchi calcarei squadrati che aveva la funzione di
proteggerla da eventuali inondazioni.
Attualmente molte parti del sito archeologico sono
occultate dalla vegetazione e dall'incuria, però è possibile rintracciare
alcune parti di esso grazie all’interpretazione fornitaci dall’archeologo
Fabrizio Fanari delle varie parti emerse durante gli scavi.[7]
Sopra il ponte è presente un blocco in pietra calcarea
che presenta due lettere latine su entrambi i lati, piuttosto corrose, delle
quali è difficile dare un’interpretazione, l’archeologo Fanari giustamente
esclude che sia una pietra miliare e ritiene che, vista la topografia del
luogo, potrebbe essere un cippo di confine tra due territori.
Fabrizio e Giovanna
[2] Nel febbraio 1324 una flotta di 50 navi pisane guidata da Manfredo
Donoratico “locum s.tae Mariae Magdalenae
petens, equites et pedites omnes, qui partim Germani, partim Itali erant, in
terram exposuit et Decimi oppidum, Calarim versus, petit”: L.F. Farae, De
rebus Sardois III, 32, 15-21
[3] V. Angius, s.v. «Decimomannu», in G. Casalis, Dizionario
geografico, storico statistico commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna,
VI, p.17
[4] Ioannis Francisci Farae, Opera, I, in Sardiniae Chorographiam, passi 132.35:
“Flumen
Calaris […] pontem maximum 13 fornicum, inter Decimum Magnum
et Decimum Putzum transgreditur ac iuxta Villam Speciosam et Utam incedit in
stagnumque maximum Calaris, non procul ab oppido Seminis, sese exonerat”, e i passi 210.5 “civitas Valeria a Tolemaeo
dicta, quam non procul a Decimo fuisse docent monumenta quae ibi supersunt et
antiqueae structurae aedes divo Nicolao sacrae ponsque maximus terdecim
fornicibus connexus fulcitusque ”
[5] G. Spano, «bolli figulini di decimo», in Bullettino Archeologico Sardo 5,
VIII: “Sebbene vi siano rimasti pochi monumenti dell’antica grandezza romana,
salvo il meraviglioso ponte di nove foci, della stessa solidità di quello di
Torres, pure delle scoperte che succedono per caso, allorché i contadini
lavorano la terra, è d’uopo riferire che fosse una popolazione molto agiata
[6] A. Della Marmora, Itinerario dell’Isola di Sardegna,
Tradotto e Compendiato dal Can. Spano, p. 174, nota 3: “In Decimo … vi è da vedere il ponte romano
di molte foci quasi intiero”
[7] Fabrizio Fanari, Decimomannu e il suo ponte romano:
un importante nodo stradale della Sardegna antica, Fa parte di Per una
riscoperta della storia locale: la comunità di Decimomannu nella storia
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