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venerdì 11 novembre 2016

EVENTI TUMULTUOSI E MOTI ANTIFEUDALI IN SARDEGNA



Gli ultimi anni del 1700 furono caratterizzati da grandi sconvolgimenti politici dovuti anche ai rapporti tra la Francia rivoluzionaria e la casata dei Savoia che ebbero inevitabili ripercussioni nell’isola. Con l’armistizio di Cherasco del 28 aprile 1796, seguito dal Trattato di Parigi del 15 maggio dello stesso anno, i Savoia mantennero il loro regno in cambio della cessione di Nizza e Savoia. Nell’agosto del 1794, dopo appena quattro mesi dai moti antipiemontesi, il viceré Vivalda sbarcò a Cagliari dove fu accolto con grande favore. 
Egli con una politica astuta seppe sfruttare le divisioni interne nominando il marchese Paliaccio della Planargia Generale delle Armi e Gerolamo Pitzolo Intendente Generale.  Questi ultimi erano malvisti da coloro che facevano parte dell’area oltranzista (i cosiddetti novatori) per via delle loro posizioni sempre più moderate. La situazione era inoltre aggravata dal fatto che le nomine erano state imposte dall'alto senza rispettare l’antica tradizione  delle Terne la quale prevedeva che le nomine decise dal re derivassero dalla proposta di tre candidature dalla Sardegna. 
Questa procedura arbitraria ebbe l’effetto di far esplodere delle lotte interne che a Cagliari culminarono con gli omicidi eccellenti del Pitzolo e del Planargia nel luglio del 1795.  I due sventurati furono trucidati dal popolo sobillato ad arte da un regista occulto che qualche storico identifica in Giomaria Angioy. La controparte dei novatori era costituita dai Realisti, conservatori e reazionari che, facendo lega con i feudatari più retrivi,  posero la loro sede a Sassari, da sempre avversa alla capitale.  
La guerra civile partita da Cagliari ben presto si diffuse in tutta l’isola con l’esplosione della lotta antifeudale nel Logudoro.  
Approfittando dei torbidi cagliaritani, la nobiltà conservatrice sassarese ed i feudatari logudoresi, sotto la presidenza dell’arcivescovo, persuasi che Cagliari fosse diventata giacobina e che tramasse con i francesi, inviarono al re un memoriale dove richiedevano la loro autonomia da Cagliari per dipendere direttamente da Torino. La missiva ebbe esito positivo per i sassaresi che videro il loro governatore ricoperto dell’autorità regia di sospendere tutti gli ordini viceregi che gli sembrassero contrari al pubblico bene.  In sostanza con questo provvedimento si vide autorizzata alla secessione. 
In risposta all'accusa del Capo di Sopra, gli Stamenti ed il viceré inviarono l’arcivescovo Melano che, con la mediazione del papa, giustificasse a corte i due omicidi eccellenti e ripresentasse le cinque domande.    
Siccome il governatore di Sassari continuava a bloccare i dispacci viceregi, gli Stamenti nominarono cinque delegati muniti di patenti viceregie, i notai Francesco Cilloco, Francesco Dore, Giovanni Onnis, Antonio Manca e l’avvocato Giovanni Falchi, con l’incarico di verificare la situazione del Capo di Sopra e far circolare un deciso pregone della cancelleria viceregia. 
Intanto il 25 settembre del 1795 i feudatari del Capo di Cagliari avevano prudentemente sospeso la riscossione dei tributi incerti, evitando così l’estendersi nel meridione della Sardegna della lotta antifeudale che nel nord era sostenuta ed alimentata dai parroci di Semestene, Florinas, Sennori e Torralba.  I parroci di questi paesi erano sodali dell’avvocato Gioacchino Mundula e del notaio Francesco Cilloco, il quale infiammò gli animi dei thiesini convincendoli ad abbattere il castello feudale e a stipulare un patto di mutuo soccorso con i paesi di Bessude e Cheremule fino al completo riscatto del feudo. 
Il 28 dicembre, il Mundula ed il Cilloco, a capo di circa quattromila armati, si presentò alle porte di Sassari che si arrese quasi subito, ma, essendo fuggiti i feudatari, gli insorti si dovettero accontentare di prendere prigionieri l’arcivescovo e il governatore. I due con una numerosa scorta di armati si diressero verso Cagliari, sicuri di ottenere una generosa ricompensa dagli Stamenti in cambio dei due prigionieri, ma a Cagliari il vento era rapidamente cambiato e stava prendendo piede l’ala moderata. Giunti nella capitale furono infatti ricevuti da una delegazione che distribuì denaro ai capi della turba e prese in consegna i due prigionieri. Nel frattempo nel Logudoro divampava ancora la rivolta.  



A questo punto i tempi erano maturi, ed il viceré con una mossa astuta fece entrare in gioco Giovanni Maria Angioy, che sia per il largo seguito di cui godeva che per la sua posizione di giudice della Reale Udienza spiccava tra tutti gli attori di quell’ultimo scorcio del diciottesimo secolo; lo inviò da prima a sedare una rivolta ad Iglesias (che sedò in poco tempo), poi lo nominò Alter-nos con l’incarico di riportare l’ordine nel Capo di Sopra.  Nel nord Sardegna la situazione era più complicata, perché i feudatari del Capo di Sopra e l’ormai prigioniero governatore Santuccio contrastavano lo stesso viceré da posizioni ultrarealiste e i contadini per una volta compatti si muovevano contro i feudatari.  
D’altra parte per il Vivalda qualunque risultato l’Angioy avesse ottenuto sarebbe andato benissimo, infatti se l’Alternos fosse riuscito nella sua missione avrebbe risolto il problema della rivolta degli antifeudatari, se avesse fallito sarebbe caduto l’uomo di punta del’ala più estrema dei “democratici”.  Il 13 febbraio 1796 l’Angioy partì alla volta del capo di sopra, sicuro che a Cagliari i suoi alleati e soprattutto le milizie cittadine in mano a Vincenso Sulis gli sarebbero rimasti fedeli.  Non poteva immaginare che di li a poco, lo stesso Sulis l’avrebbe abbandonato dietro le lusinghe di personaggi come il canonico Sisternes de Oblites, il Cabras, il Pintor e altri della stessa risma.  Durante il suo viaggio verso Sassari fu acclamato dagli abitanti dei paesi in rivolta.




Nei  primi sei mesi del 1796 le sorti di Giovanni Maria  Angioy precipitarono e decise di ritornare a Cagliari per chiedere pacificamente l’abolizione del feudalesimo accompagnato da contadini e prinzipales, però si sparse la voce che l’arcivescovo Melano stava per ottenere l’amnistia regia e la privativa delle cariche e delle prebende ai sardi, fu quindi dichiarato fuorilegge con una taglia sulla testa e a chiunque l’avesse abbandonato fu promesso il perdono.  Trovò una forte resistenza a Macomer e Oristano e fu abbandonato dai suoi compagni in cambio del perdono, decise quindi di ritornare a Sassari e il 17 giugno si imbarcò da Porto Torres e morì esule a Parigi nel 1808. 


Fabrizio e Giovanna